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Cooperative: freno o spinta per il rilancio?

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“In passato ho lavorato per alcune cooperative sociali come OSS. Per me è stata un’esperienza bruttissima: pochissimo personale, lavoro quasi disumano, nessun rispetto verso il lavoratore. Gli utenti più che persone sono merce”.

“In cooperativa sono stato sfruttato, sottopagato. Lavoravamo in 3 operatori con 25 pazienti di cui una buona parte con demenza senile o Alzheimer. Turni massacranti, le notti da solo con i 25 pazienti, ad una certa ora ti dovevi spostare ad aiutare negli altri reparti per il giro pannoloni. Il tutto per uno stipendio di 1050 euro. Da tre anni lavoro nel pubblico in ospedale con una differenza di 450 euro in più, tutto un altro mondo…”.

“Personalmente ho avuto modo in passato di prestare la mia opera per conto di una cooperativa, anche se non in ambito sanitario, ma la musica non cambia. Ritengo che nella maggior parte dei casi, le cooperative siano sinonimo di sfruttamento dei lavoratori mascherato da fini sociali. Spesso, infatti, esse assumono persone socialmente svantaggiate che, già sfortunate di loro, sono facilmente ricattabili, sia nel lavoro che moralmente. La mia avversione verso le cooperative è tale che, pur avendo un supermercato Coop proprio sotto casa, non ne ho mai usufruito”.

Sono alcuni racconti di persone (hanno preferito restare anonime) che danno un’idea di una realtà che si è deteriorata. Ad essere drammatica è la realtà sociale che si intravvede: le infiltrazioni della mafia, la concorrenza sleale, i casi, sempre più numerosi, di sfruttamento soprattutto a danno dei migranti. Sono tanti, ormai, i campanelli d’allarme che stanno suonando sulle cosiddette cooperative spurie. Spurie, per non dire “lavoro nero”, “falsi soci”, “appalti al massimo ribasso”, trattamenti retributivi ampiamente sotto la media. La crisi economica, in poche parole, rischia di trasfigurare del tutto lo spirito del mutualismo che è alla base del fenomeno della cooperazione.

Dai controlli effettuati su una percentuale di cooperative pari al 10-15% del totale, due su tre sono risultate irregolari; percentuale che in alcune province sale all’82%. Sotto i riflettori soprattutto quella fetta di cooperative non iscritte alle tre più accreditate. Su dieci realtà solo 4-5 fanno parte di sistemi organizzati. Il resto si muove nell’“area grigia”. In Italia le cooperative sono in totale più di 150mila. Di queste, 20.400 aderiscono a Confcooperative, 14.500 a Legacoop e 8.000 ad Agci. Un fenomeno che sta prendendo sempre più piede è quello delle cooperative che nascono e muoiono nell’arco di pochi giorni, per poi ricomparire sotto un altro nome, soprattutto nel settore dei servizi. Giusto il tempo di presentarsi in qualche bando pubblico o intercettare i contributi. Lo consente la legge. Così come la legge consente di poter mettere in piedi una cooperativa con soli tre membri. Una situazione molto fluida in cui anziani e disabili vengono messi alla guida di piccole imprese al solo scopo di godere delle agevolazioni. Il problema del lavoro in cooperativa si inserisce nella crisi globale del lavoro (2,8 milioni di persone alla ricerca di un lavoro, disoccupazione ufficiale prossima all’11%, tra i giovani addirittura al 35%).

Il lavoro che non c’è, o c’è a condizioni di nuova barbàrie, è il vero dramma italiano. A fine anno, dicono gli esperti, ci sarà un nuovo picco di chiusure di piccole e medie aziende. Il che significa che resteranno senza stipendio tante famiglie di lavoratori a basso reddito, spesso senza tutele o con tutele minime. Come uscirne allora? Spiace additare sempre i politici (anche se sparlare di loro genera consenso), ma, naturalmente, se non si scelgono rappresentanti all’altezza dei gravosi compiti, questi oltre a non aiutare, frenano e ostacolano. “Eppure vedrai – mi dice il solito amico saggio – man mano che gli italiani torneranno poveri, davvero dovranno per forza di cose rimboccarsi le maniche, e provare a lavorare di nuovo, anziché aggirarsi come zombie per manifestazioni”. Ho fatto notare che le manifestazioni ormai le fanno i garantiti (sempre meno) per cercare di non perdere le garanzie, mentre chi il lavoro non ce l’ha, o ce l’ha e precario, in piazza non ci va di certo.

Il guaio è che anche chi ha un lavoro viene scoraggiato perchè “si lavora solo per lo stato”, nelle cooperative si sfruttano i soci, e se poi qualcuno si azzarda ad aprire qualsiasi attività, la burocrazia ci mette 6 mesi per dare il via libera anche solo per un chiosco, o un negozio da ciabattino. Poi i mille balzelli diretti e indiretti fanno il resto. Vita dura, per chi vuol lavorare! Ma da qualche parte dovremo pur trovare la via d’uscita! •

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