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Vitali: “Non lasciate che l’Italia vada alla malora”

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La ‘ruspa’ non è stato solo il nome di una sua lista civica, ma il simbolo che meglio riassume tutta la vita di Luigi Vitali, spentosi il 17 novembre scorso. Gigino, come lo chiamavano gli amici, o il cavaliere poi diventato commendatore, cariche meritate per le sue battaglie ma che lui non ha mai amato esibire, è stato una vera e propria ruspa: a Porto San Giorgio e in tutto il Fermano.

Con il suo spirito battagliero, la grande passione politica, l’alto senso civico, la sensibilità sociale e lo sfrenato amore per la sua città e tutto il territorio, Vitali ha scalato anche le montagne impossibili, aprendo la strada a grandi conquiste come la provincia di Fermo.

È stato sindaco di Porto San Giorgio, la sua città veniva prima di tutto, poi ha avuto (tra i primi) l’intuizione che il territorio andava difeso e valorizzato per intero. Proprio la sua tenacia e la sua insistenza hanno contagiato altre persone piene di fermanità, i ‘padri’ della provincia. Con Gigino in testa, concretizzarono quell’autonomia ipotizzata dal ‘pioniere’ Abramo Mori, convincendo anche i sindaci più dubbiosi a chiedere la provincia. Alla fine, ci fu l’adesione di 40 comuni, sufficienti per far partire l’iter legislativo, che nel 2004 arrivò al traguardo. Un successo nel quale aveva visto anche una mano dall’alto, attraverso l’impegno di monsignor Gennaro Franceschetti. Con il quale Vitali strinse un’amicizia particolare e che, forse, ha avuto il merito di far crescere la sua spiritualità. Nella mente di Vitali, comunque, c’era un territorio ben più vasto. Perché lui considerava fermani anche Monte San Martino e Penna San Giovanni sulle sponde del Tenna, Carassai e Montefiore su quelle dell’Aso. E la ‘ruspa’ aveva iniziato a tracciare il percorso per inserirle con Fermo prima di doversi fermare perché le province erano diventate le vittime sacrificali per arginare il ciclone dell’antipolitica. Negli ultimi mesi aveva così indirizzato il suo ardore nella difesa della Provincia di Fermo, finita in pieno nel processo di riordino.

Alle ultime adunate fermane aveva invitato a non mollare, ma la sua lungimiranza lo aveva spinto anche a suggerire di trovare intese con i maceratesi, per i fermani ‘cugini’ molto più degli ascolani. «Io grido quello che la gente comune dice e pensa. Secondo qualcuno, rompo troppo, ma ne sono fiero» dichiarava sempre più spesso. «Etica e morale stanno scomparendo – aggiungeva – però nessuno potrà mai corrompere le battaglie giuste. Sono vecchio, ma quando c’è da farle mi sento un ragazzino e sono sicuro che i giovani non lasceranno che l’Italia vada alla malora». Parole che, qualche settimana dopo la sua scomparsa, sembrano un testamento politico e civile ricco di valore. Speriamo che Gigino Vitali abbia visto lungo anche stavolta e che i giovani fermani si sentano ‘ruspe’ come lui. •

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