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Dio esiste, io l’ho incontrato

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C’è un ordine, nell’universo, ed alla sommità, al di là di questo velo di nebbia risplendente, l’evidenza di Dio, l’evidenza fatta presenza e l’evidenza fatta persona di colui che un istante prima avrei negato, colui che i cristiani chiamano “padre nostro”, e del quale sento tutta la dolcezza, una dolcezza diversa da tutte le altre (André Frossard, Dio esiste, io l’ho incontrato, pag. 144, Torino 2012).

È una delle tante citazioni da cui partire per presentare il libro di André Frossard: Dio esiste, io l’ho incontrato. Non sapevo decidermi quale scegliere per dare inizio all’articolo. Tutto il testo è una testimonianza alla verità. Rappresentò, quando uscì, nel lontano 1969, quasi un caso politico e letterario. L’autore, André Frossard (1915- 1995), ateo dichiarato, socialista, figlio del segretario generale del Partito Comunista Francese, arrivava alla conclusione della esistenza di Dio, quasi a divenirne poi un suo messaggero nel mondo, in modo del tutto causale. A vent’anni, in un magnifico pomeriggio d’estate, André, in compagnia del suo amico Willemin che lavora con lui al giornale, gira per una delle tante strade del quartiere latino, a Parigi: rue Claude-Bernard, poi rue d’Ulm. Qui, l’amico si stacca da lui ed entra in una chiesetta. “Motivo di più per restarmene dov’ero”, scrive André Frossard, in quanto, niente lo predisponeva alla religione, ad eccezione del fatto che non aveva religione. Per la sera avrebbe avuto un appuntamento con “una tedeschina di Belle Arti, bionda, i tratti delicati delle ragazze paffutelle, che mi ha dato a sperare in una moderata difesa delle sue frontiere”.

Di lì a poco l’avrebbe dimenticata talmente da non pensare neppure a disdire l’incontro. Stanco d’aspettare il suo amico, spinge a sua volta la piccola porta di ferro che chiude la cappella, per esaminare più da vicino, nella sua qualità di disegnatore, il fabbricato. Non vi trova nulla di particolarmente esaltante. È un modesto convento di suore dell’Adorazione riparatrice, una congregazione fondata dopo la guerra francoprussiana del 1870. “L’interno non è più stimolante dell’esterno: la stiva banale, in sostanza di un vascello di pietra… La navata è nettamente divisa in tre parti. La prima, all’entrata, è riservata ai fedeli, che pregano nella penombra. La seconda parte è occupata dal gruppo di religiose che recitano una specie di preghiera sotto voce che risponde a se stessa da un lato all’altro della navata per risolversi ad intervalli regolari nell’esclamazione: gloria patri et filio et spiritui sancto. Il fondo della cappella è illuminato di vivida luce. Sopra l’altare maggiore con la tovaglia bianca, un ampio apparato di piante, candelabri ed ornamentazioni è dominato da una grande croce di metallo lavorato che porta in centro un disco d’un bianco smorto”.

L’autore, digiuno com’è di ogni pratica religiosa, ignora di trovarsi di fronte al Santissimo Sacramento. Cerca tra i fedeli l’amico, ma non lo trova. Il suo sguardo si posa sulla seconda candela che brucia a sinistra della croce, come scrive nel suo libro. Il suo cuore è tutto in tumulto. “Il cielo si apre, non si apre, si slancia, s’innalza d’improvviso, silenziosa folgorazione, da quella insospettabile cappella nella quale si trovava misteriosamente rinchiuso”. Il resto, sono frasi gridate con gioia all’indirizzo dell’amico che incontra di nuovo all’uscita della chiesa: “Sono cattolico, apostolico, romano. Dio esiste ed è tutto vero. Ero una civetta in pieno mezzogiorno, che fa la prova del sole” (pag. 146).

A chi gli faceva notare perché Dio aveva scelto proprio lui per manifestarsi, André Frossard risponde così nel suo libro: “La risposta a questa domanda è una sola: che non c’è risposta. Sono stato un banalissimo ragazzo, con qualche non encomiabile debolezza in più, senza altri segno particolari che un piede ferito dallo scoppio di una bomba… Conformemente alla Scrittura, la grazia non ha predilezioni particolari: penso d’aver chiaramente dimostrato che, rivolgendosi a me, si rivolgeva ad uno qualunque. Ciò che mi è successo può succedere a tutti, al migliore come al peggiore, a colui che non sa ed a chi crede di sapere; a chi mi legge, domani, forse questa sera stessa; un qualche giorno, chiaramente” (pag. 131). Sarebbe bello fermarsi a descrivere, utilizzando il testo, anche l’ambiente d’infanzia dell’autore, trascorso tra Belfort, Foussemagne, Colombier-Châtelot, il villaggio di sua madre, la regione dell’Alsazia ricca di corsi d’acqua, di segherie e di mulini, poi l’ambiente di famiglia e sociale dove si mischiavano culture rabbiniche, protestanti, atee e socialiste. Sono pagine incantevoli e scritte con un linguaggio asciutto ma anche coinvolgente.

Traspare in tutto il libro che Dio, per André Frossard, fino ai vent’anni, “non esisteva”. “Eravamo degli atei perfetti, l’ateo perfetto non era infatti ormai più colui che negava l’esistenza di dio, ma colui per il quale non si poneva neppur più il problema dell’esistenza di Dio”. Sentii parlare per la prima volta di André Frossard e del suo libro Dieu existe, je L’ai rencontré, nel titolo originario, cultore com’era della lingua e della letteratura francese, da Giovanni Scattolini, preside al Liceo Paolo VI di Fermo, dal 1969/1970 al 1974/1975 ed ho voluto con questo piccolo contributo, ricordare un preside, l’autore del libro e gli anni del Liceo. “I convertiti sono ingombranti”, scriveva Georges Bernanos. Nel leggere il libro di André Frossard, perché non trovarvi qualcosa di analogo con quanto successe anche a don Lorenzo Milani che scoprì la liturgia cristiana, del tutto digiuno di religione e di fede, dopo “i vent’anni trascorsi nel buio delle tenebre e dell’errore”, come ebbe a dire lui stesso, leggendo e sfogliando alcuni vecchi messali che aveva trovato in una chiesetta sconsacrata presso la villa “Gigliola”, proprietà di famiglia, a Montespertoli, vicino a Firenze, fino ad ubriacarsi di Cristo? •

Raimondo Giustozzi

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