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Storie e poesie della nostra terra – Stefania Pasquali

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Sguardi e A denti stretti, sono due raccolte di poesie di Stefania Pasquali, l’uno in lingua e l’altro in vernacolo. Ambedue sono legati all’ambiente dell’infanzia. È la stessa autrice che, nella postfazione a Sguardi scrive: «Il passato è passato dice qualcuno. In realtà il passato non passa.

Non lo abbiamo solo dietro, ma lo abbiamo inevitabilmente dentro e continua a essere un presente. Il presente, questo nostro presente, può venire illuminato dalla luce del passato. Abbiamo sempre buone ragioni sia per ricordare, sia per dimenticare. Ricordare e dimenticare: memoria e oblio. Di solito si parla poco alle nuove generazioni del passato, manca il tempo. Il rischio è quello di guardarle crescere con un senso di profonda confusione e di frantumazione della propria identità. Il tema della memoria, richiama anche il tema della dimenticanza. Le poesie del ricordo, contenute in questo libro, sono legate a emozioni come una fonte di luce che non vorrebbe consumarsi nel tempo. Il problema da affrontare, a mio parere, non è più solo il declino della memoria collettiva e la sempre minore consapevolezza del proprio passato; è la violazione di quanto la memoria ancora conserva, la distorsione delle testimonianze, l’invenzione di un passato mitico. Pertanto credo che sia necessario imparare a non dimenticare ritrovando in noi stessi le tracce del nostro percorso di vita».

Anche in A denti stretti c’è un recupero della memoria, non solo nelle tematiche ma anche nel linguaggio. Infatti la Pasquali tenta di recuperare il dialetto marchigiano. E come si sa, quando si scrive una lingua viva, a volte le lettere non riescono a connotare i suoni caratteristici della lingua parlata. Ma il tentativo è già encomiabile di far risentire suoni e timbri ormai passati nel dimenticatoio. Il titolo di questa seconda raccolta deriva da una poesia “A casa de la Lolona” dove si recitava il rosario ogni sera… magari a denti stretti. Possiamo chiedere alla Pasquali perché queste raccolte di poesie, a cosa servono? E lei ci risponderebbe come ha scritto alla fine del suo secondo libro prendendo a prestito le parole di Giuseppe Parini: “Il fine dell’arte poetica consiste principalmente nel produrre diletto, ossia piacevoli sensazioni. Inoltre, a proposito della sua utilità, Parini sostiene che la poesia non è necessaria come il pane, né utile come l’asino; tuttavia, se usata bene, può rendere felice l’uomo, poiché anche il piacere estetico contribuisce alla felicità pubblica e privata. Inoltre può avere un’utilità morale; difatti, analogamente alla religione, alla legge e alla politica, alla poesia si può attribuire un valore etico, di impegno civile e sociale. Nella nostra civiltà tecnologica, materialistica, arida, – continua Stefania Pasquali – che spinge ognuno di noi alla ricerca spasmodica di un tornaconto economico, più che mai la poesia assume un ruolo centrale, che consente all’uomo di riappropriarsi della sua dimensione spirituale e creativa”. •

Aprire la madia e percepire la fragranza dell’impasto del pane è operazione che appartiene, non senza nostalgia, alla nostra adolescenza, un miracolo oggi negato alle giovani generazioni. Dovremmo dunque rinunciarci, perché è passato il nostro tempo, e interdirla ai moderni, perché non l’hanno mai conosciuta? A questo viene fatto di pensare leggendo “A denti stretti”, poesie in vernacolo marchigiano, di Stefania Pasquali, la quale, nella breve introduzione, riconosce, da par suo, che “la poesia dialettale, così espressiva ed immediata, sa raccogliere con freschezza i sentimenti più veri e forti della vita. Il dialetto è la cornice storica di un popolo che trasmette sé stesso attraverso le parole e i modi di dire di un tempo, a volte relegato, alla memoria degli anziani. Il dialetto come lingua della tradizione popolare, andrebbe protetto tanto quanto un sito archeologico o un’opera d’arte” Ed ha perfettamente ragione perché l’autrice è una di quelle che ancora sa piegare il dialetto una volta sul versante lirico – penso a Piazzetta artidonese – una volta sul versante satirico (Viva la libertà), una volta sul comico (Viva li spusi), una volta sulla filosofia della vita (La “celebre”) Quanto al titolo, la Pasquali lo estrae da un verso che rivela tutto l’ansimo di una corona – un Rosario – recitata in famiglia, come un dovere, come un piacere, come interpretazione e come soluzione tradizionale dei guai della vita. A denti stretti è un bel lavoro che chi crede nel dialetto fa bene a gustarsi, in venticinque gioiose frazioni – tante quante sono le poesie del simpatico volumetto, illeggiadrito da fotografie significative – che costituisce l’ultima fatica letteraria di Stefania Pasquali. •

Fabrizio Fabi

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3 commenti

  1. Pasolini vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato. Come tale doveva essere “protetto”.
    Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini in Dialetto e poesia popolare, testo critico del 1951 dedicato alla differenza esistente tra poesia dialettale e poesia popolare.
    La posizione di Pasolini nei confronti del dialetto è sia affettiva – legata al ricordo dell’infanzia e della madre – sia politica, ovvero schierata contro quel paradigma che vorrebbe fare del dialetto un’espressione meramente locale e di scarso valore nazionale.

  2. Desidero contatti con la poetessa Stefania Pasquali.
    Grazie.

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