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Sapersi arrangiare

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copertina-10Vinfood (settore alimentare) ed ex Faam (batterie elettriche) sono l’apice della crisi del lavoro che si avverte sempre più brutalmente anche dalle nostre parti. Intorno a questi due casi, a fare da cornice ancora più nera, ci sono aziende artigiane che chiudono, esercizi pubblici e negozi che abbassano la serranda dopo aver cercato in tutti i modi di sopravvivere. A completare il quadro, contribuisce lo spettro che la cassa integrazione in deroga possa interrompersi per molti disoccupati fermani già prima dell’estate, a causa delle minori risorse finanziarie previste dal governo. La crisi non risparmia nessuno.

Il distretto calzaturiero limita le perdite solo grazie all’export, ma ormai le fabbriche che danno occupazione indigena e che attuano la produzione interamente in loco sono rimaste poche. Prima all’estero ci andavano solo gli imprenditori, per risparmiare sui costi, oggi ci vanno anche stilisti, conciatori, tagliatori, fresatori e operai specializzati: li chiamano i cinesi, i giapponesi e i russi per cominciare a realizzare da soli le scarpe a buon mercato. Partono, sanno che tra qualche anno saranno rispediti a casa perché non più necessari, ma sono senza alternative, avendo famiglie intere da mantenere. Il dramma maggiore del nostro tessuto sociale è diventato proprio il crollo dei bilanci familiari: prima, lavoravano marito e moglie (a volte ci scappava anche il doppio impiego, il secondo magari in nero), gli anziani mettevano a disposizione la pensione, e badavano alla casa e ai nipoti; oggi molti nonni non ci sono più, ma manca anche almeno lo stipendio di uno dei due coniugi, e molte coppie che hanno la casa di proprietà devono pure trovare i soldi per Imu e tassazioni varie.

Per non parlare del dramma degli anziani che, rimasti soli, non ce la fanno con la sola pensione ad arrivare a fine mese, vivendo in condizioni economiche e morali davvero misere. Sul fronte dei disagi, poi, anche nel Fermano è particolarmente grave quello dei giovani, che fanno fatica a trovare un posto di lavoro. Vorrebbero non pesare più sulle spalle dei genitori, bussano a tante porte, si accontenterebbero anche di lavori saltuari, qualcosa rimediano, ma non è certo sufficiente per progettare un futuro tranquillo.

Le storie tristi si trovano in ogni angolo della nostra diocesi. In questo numero del nostro giornale non si vuole dare ‘voce’ solo al disagio e alle difficoltà esistenti, ma anche a qualche spiraglio di speranza. E, da questo lato, il Fermano ha almeno un vantaggio, quello di sapersi arrangiare. Da sempre abituati a fare sacrifici (tranne nel periodo d’oro delle calzature), abbiamo la dote dell’ingegno e della fantasia che, dopo averci aiutato ad essere tra i protagonisti del boom economico, adesso potrebbe consentirci di sopravvivere. La fiducia viene dal numero delle nuove imprese che continuano ad iscriversi alla Camera di commercio, dai tentativi degli imprenditori di collaborare per la formazione degli studenti delle superiori (magari finanziando direttamente i corsi) e dalla voglia di provarci che permane in tanti fermani. Nei numeri scorsi, ad esempio, abbiamo evidenziato l’iniziativa del ‘Progetto Colombo’, con il quale la Provincia finanzia l’avvio di nuove attività.

Molti ricorderanno che giovani imprenditori hanno intrapreso la strada dell’editoria, della nuova alimentazione specifica per le varie intolleranze, della filiera corta, della valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche locali, delll’arte e del turismo sostenibile. Insomma, la crisi è forte, corrode sempre più famiglie, ma ci sono cellule (specie giovanili) che reagiscono, combattono le metastasi della disoccupazione e delle tasse, e permettono di sperare nella guarigione del sistema economico fermano. •

Stefano Cesetti

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