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Il cuore cura una mente ferita

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maria piaFesteggiata da tutta la comunità di Capodarco di Roma, lo scorso 21 dicembre, Maria Pia Alfieri ha compiuto 50 anni. Ai più la notizia apparirà certamente di nessun conto. Non lo è però per chi conosce Maria Pia e la sua storia. È una storia toccante, emozionante, che Marisa Galli, fondatrice insieme a don Franco Monterubbianesi della Comunità di Capodarco, ha raccontato pochi anni fa nel libro Una storia unica (Redattore Sociale edizioni).

Ero un giovane obiettore di coscienza in servizio presso la Comunità di Roma quando conobbi Maria Pia. Una bella ragazza quindicenne, marchiata dalla terribile diagnosi di schizofrenia. Era l’ennesimo caso che zelanti assistenti sociali tentavano di parcheggiare in Comunità. Ricordo che avrebbe dovuto stare in Comunità per poco tempo, giusto il periodo delle ferie estive. Fu accolta con tante riserve, e con tanti timori di non poterla gestire e accudire adeguatamente. Sorprendentemente fu Marisa Galli a coinvolgersi maggiormente, a farle da riferimento affettivo, ad assumersi la responsabilità diretta del suo caso.

A questo punto bisogna spiegare, per chi non la conosce, che Marisa Galli è sì una donna eccezionale. È infatti portatrice, sin dalla nascita, avvenuta nel lontano 1931 in una contrada rurale nel territorio di Servigliano, di una grave forma di handicap fisico. Si trattava di un contesto e di un’epoca in cui già essere donna non era propriamente un vantaggio, in più essere portatrice di handicap comportava una vera e propria morte sociale.

Marisa non frequentò la scuola. Imparò a leggere e scrivere giocando con i cuginetti, che a scuola ci andavano. Fu, la sua, una vita di reclusa. Visse relegata fuori dal mondo, fino a quando, con gli zii, con i quali sua madre, rimasta vedova giovanissima, viveva, si trasferì in paese a Servigliano. Marisa aveva già 25 anni, e solo allora il mondo iniziò a mostrarsi per lei in tutto il suo fascino. Aveva finalmente l’opportunità di diventare protagonista della propria vita.

Dapprima, insieme ai giovani della parrocchia, e anche attraverso i viaggi organizzati dall’Unitalsi. Poi, dopo l’incontro con don Franco, con il sogno della Comunità e la sua realizzazione nella Villa di Capodarco. Ma, come si dice, questa è un’altra storia. Torniamo invece alla storia di Maria Pia. Accadde infatti l’imponderabile. Quella che inizialmente, da parte di Marisa, fu una generosa disponibilità, si trasformò poco a poco in amore materno.

Colei che ogni mattina aveva bisogno di qualcuno che la aiutasse a svolgere le proprie attività quotidiane prese Maria Pia con sé, e da allora furono madre e figlia. A questo punto sarebbe bello poter scrivere come nelle fiabe: “E vissero felici e contenti”. Ma la vita reale non è una fiaba, e la schizofrenia non è una malattia con cui si possa scherzare. Il vero miracolo, se miracolo possiamo chiamarlo, fu quello dell’amore, un amore che non fa calcoli, che sa essere generoso. Con Maria Pia non poteva essere altrimenti, tanto complicati e faticosi sono stati l’evolversi della sua malattia e le manifestazioni del suo disagio.

Nel corso degli anni ha alternato fasi di mutismo ostinato a fasi in cui è stata logorroica fino allo sfinimento. Periodi di bulimia in cui mangiava in maniera smodata, e periodi di anoressia in cui rifiutava totalmente il cibo. Periodi in cui era aggressiva e violenta: una volta colpì Marisa conficcandole una forchetta in testa. C’erano altri periodi in cui scappava appena la si perdeva di vista, oppure si spogliava completamente in pubblico. Memorabile l’episodio avvenuto durante una vacanza estiva nella casa di campagna a Servigliano dove Marisa è nata. Due giovani frati questuanti trovarono Maria Pia completamente nuda sull’aia di casa. Vedendola, forse, avranno pensato aa una delle molteplici metamorfosi di qualche spirito demoniaco.

Un altro episodio buffo, che Marisa racconta nel libro, è quello di un’aggressione a una persona in carrozzina. Maria Pia le prese i capelli tirandoli forte, e questi le rimasero in mano fra lo sconcerto generale. La poveretta portava infatti una parrucca. Sono episodi buffi, che, comunque nulla tolgono alla fatica del relazionarsi con Maria Pia e con il suo disagio.

Scrive Marisa nel suo libro: “Si capisce perché le madri hanno assunto dall’inizio il ruolo di amare tanto i figli diversi, coinvolgendosi con loro senza risparmio”. Marisa è stata madre con una maternità eroica, che tocca corde profonde nel cuore e nei sentimenti di una donna, sentimenti che, non a tutti, probabilmente, è dato conoscere o comprendere. Lei si schernisce quando gli altri la considerano una santa. Ripete che santificandola liquidano lei e il suo problema. Infatti, invece di interrogarsi sul fatto che se una persona in carrozzina riesce a fare certe azioni, ancor più potrebbe farle una persona sana, se solo si facesse toccare il cuore dalle tante problematiche che la circondano.

Oltre a festeggiare i 50 anni di Maria Pia, Marisa ha voluto ricordare anche i 47 anni di vita comunitaria. 47 anni di gesti quotidiani ripetuti milioni di volte che hanno consentito a entrambe una vita dignitosa. La festa, ha tenuto a dire Marisa, è stata per tutti coloro che hanno compiuti quei gesti coinvolgendosi con lei e Maria Pia per periodi più o meno lunghi.

C’è un’altra chiave di lettura che Marisa offre della propria vita generosa e appassionata. Raccontando la sua storia con Maria Pia che va avanti ormai da 35 anni, e che ai più potrebbe apparire piena di rinunce e di sacrifici, ha scritto nel suo libro: “Senza la presenza viva di Maria Pia, io non sarei stata capace di resistere in questo contesto neanche per mezza giornata (…). Per scelta personale ho voluto condividere la vita con quelli più fragili”. Ecco l’ultimo tesoro segreto dei cuori generosi: donandosi si riceve ancora di più, in una “misura colma, scossa, traboccante”. •

Pancrazio Tulli

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