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Intrecciare generazioni, bellezza, spiritualità

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fermanoTre estati fa. Un’idea accarezzata da tempo. Compiere un viaggio. Da Fermo ad Assisi. Sulle tracce di tre santi: san Francesco, san Benedetto, san Jacopo. Convinco solo due persone: mio fratello Aroldo e mio nipote Andrea. Gli altri nicchiano, e poi declinano. Ci sono 150-160 km da compiere… a piedi. Sì, perché a piedi si andrà, su strade non più praticate da tempo. Sotto le insegne della Confraternita di san Jacopo, che ci ha fornito le “patenti”; spinto dal genio benedettino, che ha “costruito” la nostra Terra di Marca; con l’obiettivo di visitare i punti maggiori del francescanesimo; con questa convinzione sono partito alla volta della città del “gioioso mendicante”. Un’avventura stupenda!

Che ho raccontato in un volumetto intitolato “Verso Assisi. Con tre Santi che spingono”. È da lì che parte l’idea, a lungo covata, dell’associazione Antichi Sentieri – Nuovi Cammini. Dopo tre anni l’ho realizzata con Anna, Aroldo, Emanuele, Marco e Michele. Si va a piedi, si propongono itinerari sconosciuti, si attraversano colline, campagne, fiumi. Si raduna gente marchigiana e non. Si compie sì un gesto fisico (sportivo e salutare) e geografico. Ma anche storico. Perché narro le vicende di quei luoghi, di quelle donne e di quegli uomini che vi hanno vissuto e gioito, faticato e sorriso. Intrecciando di nuovo – questo è anche l’obiettivo – generazione a generazione (quel che è stato, quel che fu), riscoprendo “pietre” che parlano e che tento di far parlare.

Come a Montegiorgio. Estate scorsa, una serata d’eccezione. Parco del Pincio: i Sibillini sono blu cobalto alle ore 21 di una domenica agostana. Il tempio di san Francesco (chiesa non più officiata) ha qualcosa di incantevole nella sua povertà. Non più arredi, non più – se non segni – altari laterali. Libera l’intera navata. Spoglia. Altissima la volta. A terra, travi dipinte e lunghe decine di metri, ammonticchiate le une sulle altre. Piccole fiaccole a illuminare un edificio incredibilmente affascinante. Ho scritto un racconto. Parla di Elena, la madre dell’imperatore Costantino, colei che – la leggenda vuole – abbia ritrovato la croce di Cristo sul Golgota scomparso. La interpreto con accanto mio fratello Lelio che per l’occasione suona al flicorno musiche sue. Immagino Elena giunta dalle terre dei druidi: Elena la britanna, Elena la romana; immagino la cruenta battaglia con Massenzio al Ponte Milvio; immagino l’invio in Terra Santa: lo scetticismo, la paura, la fede. Infine, il ritrovamento. La Croce.

Quella in cui fu inchiodato il Giusto. Non sono io a parlare, a leggere, a interpretare. È il pittore che dipinse secoli fa la Cappella farfense. È lì, lungo i costoloni che colpirono Vittorio Sgarbi, che è raffigurata la madre di Costantino nella Terra di Gesù. Ho voluto ridar voce a quelle immagini in una notte di vacanza.

Così come con una pattuglia di camminatori sono giunto qualche giorno dopo nei pressi della “Rocca maledetta”. Tagliata la campagna, siamo arrivati alle falde del colle di santa Susanna. Lì s’ergeva il castelletto di Rinaldo da Monteverde, della famiglia dei Brunforte. I Domini Contadini, di schiatta longobarda. Lì, dice la leggenda, il diavolo aprì la terra per schiantare mura e impadronirsi di tesori. Lì, invece, racconta la storia, i montegiorgesi appiccarono il fuoco dopo che il capitano di ventura e tiranno di Fermo era stato ucciso per decapitazione (insieme ai figli) ed esposto a pubblico ludibrio. Restano mozziconi di mura. Ma arrampicandosi alle falde, si trovano ancora i pertugi. Da giovani percorrevamo quei cunicoli, da adulti ce ne siamo ben guardati. Oggi al posto della rocca sorge una villa. Il proprietario è gentile. Ha piantato viti intorno alla casa. Ma il fascino storico resta immutato. E anche la memoria. •

Adolfo Leoni

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