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La vita rubata in un attimo

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eluanaCome ci è stato detto, il testamento biologico dovrebbe essere qualcosa di simile ad una dichiarazione anticipata che uno fa su quali cure gli dovranno essere somministrate nel caso in cui non sia più in grado di decidere. Ma perché lo si chiama testamento? Il testamento è un atto che diventa efficace dopo la morte di chi lo ha redatto. Sono volontà che ‘sopravvivono’ a chi le ha rilasciate e dispongono, normalmente, distribuzioni patrimoniali. Un atto quindi scritto da un vivo ma che diventerà voce – registrata – di un morto. Il testamento biologico, invece, dovrebbe essere applicato quando chi lo ha vergato è ancora vivo. Contraddizione? Uso approssimativo dei termini? Denominazione data ‘a braccio’, ‘a senso’?

Colto l’inciampo, lo si chiamerà diversamente (dichiarazioni anticipate di cura ecc.)? O è l’ennesima impronta di un pensiero ferale che cammina sulle strade dell’oggi? Il sospetto, terminologico e forse anche logico, è che chi lo ha chiamato testamento fosse perfettamente consapevole del significato della parola e che proprio a quello scopo e con quella connotazione mortifera ha deciso di usarla.

Si parla di testamento biologico perché, come il testamento ‘patrimoniale’, si usa quando uno è morto. Perché se un uomo non è più in condizioni di decidere di sé, non ha parola, o la sua parola è così flebile da non poter essere ascoltata, se il suo respiro è diventato ‘voce di silenzio sottile’ percepibile solo da un orecchio sensibilissimo e amorevole, allora è morto. È fuori dal recinto sociale. Non c’è più spazio per lui nell’albergo dei viventi. È corpo e non più persona. E si possono togliere i sigilli al testamento, per metterli sulla bara. Qualcosa mi suggerisce che il testamento biologico non sia stato pensato come un promemoria per il medico, ma come una lapide a futura memoria. Scritta da chi è stato, ma non è più.

Credo che questa discussione sia un’altra porta aperta sull’abisso della debolezza e sulle domande che la debolezza propone. La nostra società organizza un Telethon al mese, promuove le differenze, sostiene le minoranze, sorregge le disabilità, dà predilezione alla sensibilità da fata turchina del presentatore di reality. Ufficialmente e a parole: con la mano destra. Con la sinistra dichiara che la ‘disabilità’ del feto è motivo che può fondare l’aborto terapeutico. Con la sinistra dichiara che è giusto – o lo sarà a breve – che chi a 40 anni è diventato incapace di intendere e volere, o tale sembra, può essere soppresso perché l’ha permesso per iscritto quando di anni ne aveva 20. O magari perché in una chiacchierata estiva l’ha chiesto a voce al padre o ad un amico. Fra l’altro, siamo così sicuri che chi non parla o ha una ridotta attività cerebrale non senta? Che non provi sentimenti, che non possa migliorare? Nel dubbio, anche per i non credenti, pro life o pro death? Se vado a caccia e vedo qualcosa muoversi dietro un cespuglio, nel dubbio che faccio? Sparo e poi controllo se era un cinghiale o il vicino di casa?

Mi pare che la dignità dell’uomo ormai, nell’era della comunicazione, non sia più collegata all’esserci e all’essere, ma al gridare. Se parli o, ancora meglio, se strilli, avrai solidarietà e comprensione (apparenti e pelose, spesso), se parlare non puoi o perché troppo piccolo, come l’embrione, o troppo debole, non ci sei. Non sei ancora o non sei più. Che il Signore ci mantenga in salute e ci preservi dai tanti ‘buoni e pietosi’ paladini dell’autodeterminazione e della tutela delle sole minoranze urlanti. •

Marco Caldarelli

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