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Pastori con l’odore del gregge

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papaNon credo sia casuale o solamente emotiva la decisione di Papa Francesco di risiedere a Santa Marta e non nelle stanze pontificie. Né sono portato a pensare che si tratti di una scelta pauperista o in qualche modo polemica. Credo che nasconda, e allo stesso tempo riveli, una sua specifica visione di cosa è chiamato ad essere oggi il Pontefice. Cioè di essere stato nominato non tanto Papa e Vescovo di Roma, ma Papa in quanto Vescovo di Roma. Di avere una funzione di guida, di essere, sì, ‘primus’, ma proprio perché ‘inter pares’, fra pari e non subordinati, ‘primus’ perché sostenuto sia dalla comunità dei Vescovi sia – e soprattutto – dalla comunità cristiana con la quale condivide il proprio cammino di pastore.

Questa intuizione, forse ispirazione, è il sigillo di un papato che potrà – il futuro è nelle mani dello Spirito – rappresentare un passo avanti sia nei confronti di chi appartiene ad altre Chiese cristiane (che nel ruolo e nella figura di un Papa monarca trova i maggiori impedimenti ad una reale comunione) sia per tutti quelli che guardano al Cristo e alla sua Chiesa con un misto di attrazione e repulsione, di amore e rabbia, per tutti quelli che si sentono – o sono – dei ‘decentrati’, pecore fuori del recinto. Se il Papa si allontana dal centro, si avvicina a chi dal centro è lontano. Il recinto è stretto? Basta allargarlo. O abbatterlo del tutto. Da dove si deve partire? Il Papa riparte dalla Parrocchia.

Non è insignificante che abbia scelto di dire messa tutte le mattine in un contesto (Santa Marta) che ha il sapore parrocchiale. Il Papa fa, e invita a fare, quello che molti parroci non fanno: incontra i fedeli e i non fedeli, esce, parla, si fa conoscere e li conosce, proprio lì dove si trova ad essere. Che è l’incarico primario di chi è stato chiamato ad essere pastore. Per un Papa dello Spirito Santo, nulla è a caso: il luogo dove Dio ci vuole è il luogo in cui ci troviamo ad ascoltarne la Parola. Dunque ‘Age Quod Agis’, ‘fa ciò che fai’, esattamente lì dove sei. È un problema di prospettive: è l’uomo che deve recarsi al Tempio, anche se sente di non esserne degno e magari sostenendo che il Tempio non c’è (molti degli atei manifesti nascondo una profonda nostalgia di Dio afflitta da un senso di inadeguatezza a Lui), o è il Tempio, e il suo primo Sacerdote, che va dove si trova l’uomo, fuori dal luogo sacro, sperduto in territorio etimologicamente profano?

Una indicazione in tal senso Papa Bergoglio la diede in occasione del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma a giugno dello scorso anno: preso atto del fatto che nell’ovile – invertendo i termini della parabola evangelica – è rimasta una sola pecora e novantanove sono quelle ‘uscite fuori’, cosa rende maggiormente Gloria a Dio? Rimanere a pettinare quella ‘casalinga’ o uscire a cercare le altre? Credo che ogni cattolico debba sostenere questo straordinario dono del Paraclito che è Papa Francesco e difenderlo dalla sottile, sommessa e rugginosa riprovazione di tutti quelli che, per abitudini sclerotiche, non sopportano che lo Spirito soffi dove vuole Lui, e spesso in regioni a noi lontane, o, come direbbe Bergoglio, pericolosamente periferiche. •

Marco Caldarelli

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