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Vita, risurrezione, futuro: la nostra Pasqua “vera” con 49 rifugiati dall’Africa

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profughiIl primo allarme alle 17 di giovedì pomeriggio 10 aprile. La prefettura di Fermo fa sapere che dal ministero dell’Interno sono assegnati alla provincia, per essere accolti, 50 profughi, appena sbarcati in Sicilia. Il piano di emergenza, approvato in poco tempo, prevede che i profughi possono essere ospitati nell’ala ovest del Seminario di Fermo. Nessuna altra notizia per sapere quando sarebbero arrivati, da dove provengono e quanti uomini e quante donne saranno. Una prima segnalazione prevedeva il loro arrivo il giorno dopo.

Fortunatamente una successiva precisazione dava l’ora esatta (alle 20.50) di sabato 12 aprile con un volo Alitalia proveniente da Catania. Occorreva prelevarli a Fiumicino e portarli a destinazione. Il bus, con un medico a bordo e altri volontari sono ad aspettarli all’aeroporto. Arriveranno a Fermo alle cinque del mattino. Dopo il primo screening (nomi, visita medica, cibo e docce) l’appuntamento è per il giorno dopo a mezzogiorno: così avranno dormito.

Tutti i giovani provengono dal centro Africa: Somalia, Gambia, Mali, Burkina Faso, Guinea Bissau: 39 uomini e 10 donne. Dopo l’ora di pranzo la prima sorpresa. Tutte le donne scompaiono. Sono scappate a piedi in cerca di un bus per Roma. Quattro sono rintracciate e convinte a restare. Le altre hanno tre giorni per rientrare, altrimenti perderanno la possibilità di ottenere lo stato di rifugiate. Di sei di loro, tutte somale, non si hanno più notizie. Il dubbio fondato è che siano arrivate con un piano preciso di viaggio, nel quale l’Italia era paese di transito.

La vita quotidiana di chi è rimasto è organizzata con ritmi che non li facciano sentire annoiati e inutili: soprattutto le prime settimane, perché non possono lavorare. Le suore e i volontari che li accudiscono sono attenti: fanno sentire la loro presenza partecipata e sono pronti a dialogare, ogni qual volta notano che qualche problema assilla qualcuno tra loro. Intanto stanno imparando la lingua italiana: un ragazzo dice chiaramente che senza la lingua non si può andare da nessuna parte.

Raccontano la loro fuga: dai paesi del centro Africa fino a Tripoli il costo della guida è 500 dollari. Sono due settimane di deserto. Viaggiano di notte perché il percorso è più sicuro. Altro denaro per le guardie di frontiera. Se non hanno denaro debbono procurarselo, arrangiandosi a Tripoli. Qualcuno ha dovuto aspettare due mesi, per mettere da parte anche il denaro necessario all’imbarco. Improvvisamente viene dato il segnale della partenza. In cinquecento su un barcone, dopo aver pagato 700 dollari. Rimarranno in mare cinque giorni. Dopo due giorni la barca va alla deriva perché senza gasolio. Qualcuno non resiste e viene abbandonato in mare, come è stato abbandonato chi non ha resistito nel deserto. Rimangono senza cibo e senza acqua. Un elicottero della marina italiana li avvista e una nave li traina a riva. Un ragazzo ha fatto un voto ad Allah: se arriverà vivo in Italia, per cinque lunedì farà digiuno, senza acqua e senza cibo. Ha già digiunato dal primo lunedì.

Ora sono tranquilli e partecipativi. Che avverrà domani? E’ il problema serio della loro permanenza in Italia. Se tutto scorrerà liscio avranno il tesserino di rifugiati politici. Ci siamo imposti l’impegno di inserirli. Sappiamo che è dura, ma dopo l’accoglienza solo l’integrazione restituirà dignità e futuro. Abbiamo trascorso una Pasqua vera: di vita, di risurrezione e di futuro. Dopo il venerdì di passioni, la nostra fede ci dice che la vita trionferà sulla morte. Sono gli auguri che stiamo scambiandoci: solari, sinceri, in nome di Cristo e dell’umanità. •

Vinicio Albanesi

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