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Il Vangelo va a piedi

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numero18Quando? Dove? Come? Ma soprattutto: Perché? Sembra quasi la parafrasi di una recente pubblicità che imperversa sui nostri teleschermi! Ogni volta che si fa un esperienza di cammino, molte sono le domande che poniamo a noi stessi e che ci vengono dagli altri. Sia esso legato ad un’escursione più o meno turistica, al trekking, ad un pellegrinaggio, ad una manifestazione fitness, sportiva, religiosa o spirituale, il “cammino” è un fatto e un gesto che desta sempre una certa meraviglia in chi lo osserva facendo scaturire, appunto, domande diverse ma tutte legate alla sfera esistenziale e relazionale.

Il “quando?” segnala, innanzitutto, la meraviglia del tempo. Tempo che sembra sempre più essere ansiosamente insufficiente, occupato o, peggio, terminato. Ebbene, in questo tempo che non c’è più, ricavarne una briciola per camminare sembra operazione difficile o quanto mai complessa. Quante volte ci siamo svegliati prima del solito per andare a camminare? Lo abbiamo fatto per un’escursione in montagna, per una bella camminata sul lungomare, per un pellegrinaggio. Sta di fatto che quando si cammina, si cambiano i programmi e gli orari delle nostre giornate. È certo che la motivazione che ci spinge a una scelta così slow debba essere sostenuta da fattori molto esigenti e da un’aspettativa molto alta! Il “dove” è certamente la domanda che sollecita maggiormente la curiosità. Il luogo del cammino è sempre fuori dell’ordinario.

La natura, l’arte, lo spirito rappresentano l’ambito dove si risvegliano sensazioni ancestrali che scavano nella nostra anima. Lo stupore di fronte ad un’alba da ammirare al mare o su una montagna, davanti all’architettura di una cattedrale o al cospetto della vita di una comunità monastica assume una valenza comunicativa di straordinario coinvolgimento che suscita desideri profondi e speranze nascoste. Il “come?” qualifica senza dubbio in maniera inequivocabile: a piedi. Andare a piedi, rimanere a piedi, essere a piedi… sono espressioni della vita di tutti i giorni che, in qualche modo. definiscono in maniera letterale o allegorica lo stato di una persona. Andare a piedi, pur sembrando ormai un’azione desueta consente di osservare dettagli e situazioni che passerebbero inosservate ad un’andatura più veloce e alla navigazione digitale. Una colonna di formiche intente al loro quotidiano lavoro (tra l’altro fatto di “cammino”), un colore particolare di un fiore di campo, un’immagine leggibile in un volo di nuvole, una mano tesa, un lamento sommesso, uno sguardo triste … sono tutte manifestazioni che la distratta velocità del giorno d’oggi non permette di cogliere. Andare a piedi, inoltre, presuppone una disponibilità a “faticare”.

Il che sembra esattamente l’opposto del pensiero imperante che tende all’estrema realizzazione del wellness individuale. Infine, ma non da ultimo, andare a piedi ti fa rischiare di incontrare qualcuno; se non si tratta di un incontro programmato (appuntamento) è fatto rischiosissimo, ti mette di fronte ad un’incognita che ti può travolgere se non scegli di eluderlo! Il “perché?” è forse la domanda più difficile a cui rispondere. Non sempre è semplice trovare parole in grado di descrivere motivazioni che si velano nella profondità del mistero di una persona. Quello che accomuna chi cammina è certamente un desiderio di ricerca. Può essere la ricerca di una forma fisica migliore attraverso attività fitness (walking, jogging, … ), oppure la ricerca dì un momento di contatto forte con la natura (al mare, nel bosco, in campagna o in montagna). C’è chi ricerca il senso profondo della sua esistenza, oppure chi cerca qualcuno per far strada insieme: chi si mette alla prova per trovare i suoi limiti, chi cerca nel cammino un’occasione di aggregazione.

Alcuni sono mossi dal desiderio di conoscere cose nuove, altri da quello di scoprire le proprie radici. A volte cerchiamo, nel camminare, le risposte a domande incomprensibili della vita. In altre occasioni ricerchiamo la forza per superare momenti insostenibili. Tutte queste esperienze diventano comunque e sempre dei racconti che suscitano un contagio attraverso immagini, sensazioni, pensieri, gesti e parole. E ogni racconto ha sempre bisogno di due autori, un po’ come per camminare servono due piedi. Nel cammino si incontrano storie, vite, persone.

Quest’incontro è la grande medicina che cura le ferite che spezzano l’esistenza; è l’aria che riempie il nostro cuore; è la gioia che realizza i nostri desideri. Nel camminare ti accorgi che la strada non è casuale, che i tuoi piedi si modellano sul percorso. Camminare è una sorta di linguaggio comunicativo. È il linguaggio dell’incontro con l’altro sulla strada, dell’altro che è il tuo compagno di cammino, dell’altro che scopri in te stesso e che si cela nel profondo della tua anima. Un linguaggio interiore con cui dialogare con l’Assoluto sulla strada dell’infinito e dell’eternità. È il linguaggio della riconoscenza, con cui veniamo riconosciuti e chiamati per nome. È il linguaggio della vita, che ci fa sentire di esistere e di essere desiderati. È il linguaggio della speranza, che ci fa superare le fratture inevitabili della nostra individualità con la tenerezza del perdono. È il linguaggio che volge decisamente al noi dopo aver coniugato le strade dell’io e del tu. •

Francesco Fioretti

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