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Un amore che diventa profezia

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sanbenedettoIl passato, con ombre e luci, è il luogo della teofania e della gratitudine verso Dio che non ci ha lasciato soli, ha continuato a donarci il tempo come opportunità di vita, ha scritto la sua storia di salvezza, ha accolto il bene seminato, i progetti realizzati, i germi di vita disseminati nel quotidiano, ci ha educato alla scuola del suo amore fedele e della sua provvidenza, di generazione in generazione, unica comunità nel tempo: quella terrestre e quella celeste in comunione! Una memoria, dunque, come preziosa tradizione per vivere il presente aperte alla voce dello Spirito che non annulla il passato, ma lo rivitalizza. Vivendo non in modo statico, si guarda al futuro con gioia e speranza perché, come dice S. Paolo, “So a Chi ho dato fiducia”.

La felicità deriva dal sentirsi sicuri, senza paura, nella gioia, anche quando le cose non vanno per il verso giusto. La vita è rinnegamento e croce, è camminare nel deserto e nelle tenebre, ma con una certezza: il tempo passa, ma Dio ci tiene per mano e ci chiede di fidarci di Lui. Questo è il paradosso della vita cristiana: la sofferenza può coesistere con la gioia del cuore, il dolore con la felicità. Come sentire la sua mano così da non aver paura? C’è un modo: la preghiera, un dolce legame con Dio e con gli uomini che crea la comunione e da cui scaturisce la gioia, come dall’ evangelico programma di S. Benedetto che apre le porte alla vita mistica e fraterna: “I monaci esercitino dunque lo zelo buono con l’amore più fervente. Così si prevengano nel rendersi onore a vicenda; portino con immensa pazienza le loro infermità fisiche e morali; si protendano a gara per obbedirsi; nessuno segua ciò che giudica utile a sé, ma piuttosto all’altro; siano protesi in modo puro alla carità verso ogni fratello; nell’amore temano Dio; amino con carità sincera e umile il loro abate; a Cristo non antepongano assolutamente nulla ed egli ci conduca tutti insieme alla vita eterna” (cap. 72).

Un’attenzione, dunque, alla persona nelle piccole cose, capacità di ascolto e aiuto reciproco disinteressato, comprensione, sostegno, libertà dalle varie schiavitù. La vita consacrata, dunque, come segno nel mondo e tra gli uomini di un amore che sazia, disseta, sostiene e dà gioia perché saldamente edificata sulla roccia che è Cristo! Un amore libero che diventa profezia delle cose che non si vedono, ma che si sperano; di un “già e non ancora”; che diventa grido profetico contro le ingiustizie; che mette in risalto l’unica parola, quella di Cristo a fronte dell’inflazione di tante parole vuote e senza spessore; che lubrifica le relazioni con le tre parole-chiave per vivere in pace e gioia: permesso, grazie, scusa. S. Benedetto, vuole che – prima che tramonti il sole – gli animi siano riconciliati, le relazioni fraterne sanate con il reciproco perdono. Allora, anche il Monastero è chiesa in uscita che testimonia con la vita innanzitutto, che accoglie, diventando un ospedale da campo dove curare le ferite e riscaldare il cuore dei fratelli, con la vicinanza, la prossimità; dove c’è un’insegna «Qui si aiuta a portare la croce »; dove – come i barellieri del Vangelo – le monache presentano il “malato” di turno a Gesù nella preghiera, come dice S. Benedetto: “…prima preghino insieme…” (RB 53) cui fa eco il Vangelo di Mc “Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui” (3,13).

Lo “stare con Lui” è il cuore del Vangelo: da qui si parte per portare la gioia dell’annuncio lungo le periferie della vita. Uscendo lungo le strade della vita, vorremmo chiamare a raccolta tutti e, nel rispetto del carisma monastico benedettino, chiedere: “Cosa vi aspettate da noi monache?”. Non è curiosità, ma un desiderio di crescere insieme come Chiesa per un migliore servizio d’amore! •

Le Monache Benedettine
di Fermo

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