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Firenze chiama Fermo risponde

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Firenze, venerdì 13 novembre 2015, ultimo giorno del Convegno Ecclesiale. La delegazione fermana si prepara a far ritorno a casa, dopo una settimana di riflessioni, conferenze, celebrazioni.
I bagagli sono pronti. È tempo di lasciare le stanze del Convitto Diocesano La Calza, vicino a Palazzo Pitti, e di riprendere il pulmino messo a disposizione da una parrocchia. Dopo messa e colazione, manca ancora di caricare e recarsi a Fortezza da basso per le sintesi dei lavori di gruppo e le conclusioni del Card. Bagnasco. Due preti si recano al luogo del furgone, un grazioso e, ai fini del parcheggio, prezioso orto degli ulivi non troppo distante da La Calza, proprietà di una piccola parrocchia.
Non è facile arrivarci ed entrarvi, a motivo della strada molto stretta che passa tra muraglie rigate da segnacci tristi e sinistri, attestanti il funesto passaggio di automobilisti inesperti.
Tracce che dovrebbero suonare come appello accorato per i due ecclesiastici, i quali, tuttavia, assonnati e ancora immersi nelle questioni del Convegno, si rivelano sordi e incuranti del pericolo. Cari lettori, sta per cominciare un vero e proprio venerdì di passione per i due don, pronti a bere un calice salatissimo e ostinati a dar prova di ordinaria follia alla capitale dell’arte e alla chiesa italiana.
Forte del successo, o, per meglio dire, della sfacciata botta di c…, nel parcheggio all’arrivo, il prete autista non si ricorda più della sua imperizia. Si mette alla guida e, puntualmente, rimane incastrato in mezzo ai muraglioni. Ora si affanna. Va nel pallone e tocca una prima volta.

Dall’Officina delle Parabole alla parabola dell’officina. Il cammino di ritorno da Firenze educa a un più attento senso della realtà delle cose.

Prega Santa Maria del Fiore e invoca tutti i santi della chiesa fiorentina, ma è troppo tardi: stolto e tardo di cuore! Sempre più bloccato, non ascolta neppure i richiami dell’altro prete e, all’arrivo dell’utilitaria di una signora, che non può transitare perché il furgonato sta per metà dentro il cancello e per metà sulla strada, si immola a mo’ di kamikaze e va a spiaccicarsi sul muraglione, strusciando fin quando, alla fine, non riesce ad uscire. Una catastrofe: fiancata sinistra gravemente compromessa, membri della delegazione fermana a rischio raffreddore, perché costretti a tornare a casa senza il vetro disintegrato.
Un misericordioso e pietoso sacco nero dell’immondizia ora incerotta il mezzo. Lento all’ira si rivela, al telefono, il parroco che lo ha dato in prestito.
Questa storia vera può rappresentare, a distanza di qualche mese, una buona parabola: chiesa in uscita, ma comunque impacciata o, per meglio dire, imbranata. Sorda ai richiami dei profeti, si rifiuta ostinatamente di leggere, anche quando le parole le sono scritte davanti agli occhi. Distratta dai discorsi degli accademici, è poco esperta nel trattare gli affari della vita quotidiana.
Una chiesa ferita, dunque, che torna a casa ridimensionata e con le ossa rotte, ma che, provvidenzialmente, può davvero iniziare a percorrere la via dell’umiltà e, così, può passare dall’officina delle parabole – titolo della tesi di dottorato del prete autista e professore dell’istituto teologico di fermo – alla parabola dell’officina, dove, grazie a Dio, si trovano persone capaci e animate da pietà e umanità. Officina come locanda, dove all’ospitalità si affianca la cura. •

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