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La sensazione della morte

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“Quando, come un coperchio, 
il cielo pesa greve
sull’anima gemente…”
(da Spleen di C. Baudelaire)

Nella mitologia greca, Thanatos è il dio della morte, ed è rappresentato come un anziano barbuto e alato, o avvolto da un nero mantello. Thanatos è quasi sempre citato accanto a Eros, il dio dell’amore. Amore e Morte canterà Menandro in esergo a una famosa lirica leopardiana. Entrambi sono i poli di un meccanismo che regola l’intera esistenza, quello che Freud chiamerà il “principio di morte” e il “principio del piacere”. Eros crea la vita, Thanatos la distrugge; Eros avvicina, Thanatos allontana; Eros unisce, Thanatos separa per sempre. Ma nel gioco delle culture, o nel gioco della letteratura, i significati si possono anche ribaltare. Freud, nel saggio Al di là del principio del piacere, giunge ad esporre il suo pensiero sul rapporto Eros-Thanatos partendo dall’analisi della pulsione, che nella terminologia psicanalitica non è l’istinto, non è relativa ad un bisogno specifico, ma è una forza psichica e fisica d’origine interna all’individuo che lo anima perennemente e costituisce il motore del suo apparato psichico, per cui la persona vuole giungere all’acme del piacere ed allo sfogo totale delle tensioni; ma queste tensioni, chiamate dallo psichiatra viennese “il frastuono dell’eros”, continuamente risorgono e sono frutto di quel tipico aspetto della personalità umana eternamente inappagata. Festini gay off limits?…fiumi di coca?…: «Ma siamo sicuri che Manuel e il suo amico, cercatori di emozioni, e i tanti altri sensation seekers non siano in qualche modo essi stessi vittime di una società che sta eleggendo l’emotivismo, la soddisfazione immediata di ogni bisogno, la tirannia del desiderio e il narcisismo esasperato come modo di essere privilegiato?» (così Tonino Cantelmi, presidente degli psichiatri cattolici). Delirio di onnipotenza che, come diceva S. Weil, se non si pongono limiti, oltre a distruggere l’altro finirà per distruggere se stesso.
Fermiamoci un attimo a riflettere.
Oggi la vita non vale più di una “cosa”, in cambio della quale si baratta anche una “bravata”. On-off, lo zerouno dei sistemi binari, sì/no. Vita/morte, sesso/videotape, apri/chiudi: l’aut-aut dell’irrazionalismo/determinismo più bieco, la causalità della follia. Sentenzierebbe Aristotele: tertium non datur. I sentimenti non hanno più senso, valore (né si sanno nominare in quanto fuori dello spazio prossemico), si pilotano a comando, più spesso a casaccio, come spamming da buttare nel cestino. L’ospite inquietante è tra noi, il nulla incombe, travestito da nichilismo. Il principio biologico ha lasciato il posto alla cultura della morte, sul cui altare vengono immolate sempre più vittime. Il demone della distruzione danza il suo macabro rituale sulle macerie di un mondo ormai orbo di luce. Dietro a vuoti feticci cieca si scatena sulla “inconsapevole” vittima la violenza demente.
La vita come scherzo, la morte come giuoco, dimensioni polarizzate sul “grande fratello” da una parte, e uno strapiombo a picco sul vuoto, dall’altra. Il malgoverno della propria vita si riflette nella gestione dei rapporti con l’altro, non ci sono sfumature tra il fare e il non fare, l’essere e il non essere.
L’emotività è una bara di ghiaccio che si chiude inesorabile sulle nostre salme. Se la vita è=0, che male fa agire con “animalità” (e offendiamo le bestie…)? Colpa di chi?… della società?… della famiglia?… dell’innata tendenza a delinquere, di quell’iconoclastia che, se un tempo poteva giustificarsi in nome dell’ideologia, adesso ha come limite e ragione il nulla?…un succedaneo alla noia di vivere?…una pulsione irrefrenabile quanto priva di motivazione? Automi rimbecilliti, pigiamo il bottone come capita, il play del “sentimento”, che può essere indifferentemente, indifferenziatamente l’odio come l’amore, la pietà come la crudeltà.
Tutto il mondo è un video gioco. O forse strabordiamo talmente di cose, che non si ha più fantasia d’inventarsi una vita.
Di fare un percorso. Di guardare a una meta. Ma non si sale sul podio ammazzando per gioco, per di-vertirsi, e provare qualcosa che oltrepassi il limite, perché “Io sono Dio”.
La verità è che spesso non vogliamo accorgerci del sottile disagio che avviluppa come una spira maligna le esistenze braccate di tante teste calde, figli di papà, fragilità travestite da bulli, fino a soffocarle. Se fossimo più attenti ai segnali che provengono dal mondo giovanile, si eviterebbe forse di piangere sui suoi miserabili resti. •

Manuel Foffo, ha ammesso che lui e Marc Prato erano usciti giovedì notte alla ricerca di qualcuno da sottoporre al loro macabro esperimento, ovvero da perseguitare e uccidere per “vedere cosa si prova”. “Volevamo uccidere una persona per capire che cosa si provava e vedere che effetto avrebbe avuto su di noi”, le sue testuali parole: questo qualcuno si chiamava Luca Varani.

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