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Io, un ragazzo di campagna

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Questa è un’intervista impossibile. Che cercheremo di rendere possibile scavando nelle pieghe della memoria. Per ricordare un uomo che non c’è più  (avrebbe avuto un secolo di vita) ma che resta un colosso, e che ci aiuta a capire, forse, dove sta la felicità.
Rileggevamo le prime righe di presentazione di un volume dei Quaderni montegiorgesi dedicato ad Antonio Angelelli.
È stato presentato qualche settimana fa all’Altro Circolo di Piane di Montegiorgio in vista di “Montejiorgio cacionà” del 1-2-3 di aprile.
Rileggevamo: “Magro, dritto, non alto, stretto di spalle, naso prominente, risata buona, cappello in testa… Grande poesia quella di ‘Ntunì, perché nasceva come nascono i fiori e le piante, dalla terra che fumava e profumava”.
Ed è stato come se ‘Ntunì de Tavarrò – questo lo pseudonimo del grandissimo poeta dialettale – all’improvviso si materializzasse.

Ciao, ‘Ntunì. Ti ricordi di me?
Certo, avevi i pantaloni corti e ci seguivi la domenica sotto le loggette del Caffé de Mimì.

Che facevate lì?
Ci ritrovavamo con gli amici per raccontarci la settimana e i versi che avevamo scritti.

Come stai?
Di là, si sta bene. Non vedo mai la televisione, leggo poco o nulla i giornali. Mi dedico all’orto…

Potete lavorare l’orto?
Non solo l’orto, anche i campi, potare la vigna. Però non c’è fatica. Solo soddisfazione.

Scrivi ancora?
Eh sì. La passione non passa. D’altronde, come sai, ho iniziato presto: a dieci anni ho vinto le Olimpiadi dei piccoli. Andare a Fermo e vincere di quei tempi… io ragazzo di campagna, quarta elementare…

Orgoglioso?
No! Contento. L’orgoglio è brutta bestia. la contentezza riscalda l’anima.

Di’ la verità. Eri impaurito in Albania?
Con la guerra non si scherza. C’era tanta paura ma anche grande tristezza. Avevo lasciato a casa tutto ciò che amavo: famiglia, amici e soprattutto la terra, il mio lavoro.

È lì’ che hai cominciato a scrivere?
Sì: in trincea, nelle baracche, nelle caserme, sui colli, nel freddo. L’unico svago, l’unica certezza, l’unico calore. Rivedevo casa mia, il podere, la “salata”, le feste, la messa, il prete che benediva le case, il rosario a maggio. Sentivo anche il profumo delle rose, mentre più in là si moriva…

Lo sai che ti hanno dedicato un volume?
Qui si sa tutto. E sono anche contento. Non tanto per me quanto per il lavoro che ho svolto a difesa della mia lingua: il dialetto.
Pulita, vera, immediata
Beh, il dialetto coglie con un termine sentimenti che a volte l’italiano stenta ad esprimere con una sola parola.

Quello che ha colpito a La Corrida, quando vincesti a marzo 1972?
Possibile. Io ci andai perché qualche diecimila lire faceva comodo…

Lo sai che c’è stato, e con grande successo, Montejorgio cacionà
Lo so, lo so, te l’ho detto prima: sappiamo tutto.

L’hai visto?
Si! Ci sono stato… nelle parole, nello spirito. Nell’amicizia. •

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