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AMANDOLA – Affrescata come una cattedrale

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Amandola: alla riscoperta della chiesa di S. Maria a Pie’ d’Agello

Il fiume. Tenna. Tignum. Tinna. Giove per gli Etruschi.
Teniamo a mente l’idronimo mentre da Amandola scendiamo al lago.
È domenica 3 aprile. La nebbia avvolge la bassa. Sotto i Sibillini spunta un tiepido sole. Amandola, con Bolognola e Montefortino, era la «capitale» della produzione del pannolana. Basso Medio Evo. Poi la crisi del ‘500, i pascoli dirottati dai Papi nella piana laziale, l’«affida» per rimpolpare le casse dello stato clericale. Lo ricordiamo ai trenta che hanno risposto all’invito dell’Associazione Antichi sentieri – Nuovi cammini.
Diamo le spalle al Santuario del Beato Antonio: è il “Nubigero”, che comandava alle piogge e al sole, un po’ come san Francesco che zittiva le rondini. Microcosmo e macrocosmo che s’abbracciano.
La Compagnia attraversa l’arco di piazza. Direzione: Fonte paurosa. La scorgiamo tra i rovi, resta poco di un sito che la leggenda vuole di tanto in tanto «eruttasse» sangue e non solo.
santa-Maria-a-pie'-d'AgelloLa prevista e futuristica «bretella», la dimenticherà completamente. Le strade mangiano la terra e le memorie.
La piccola chiesa di Santa Maria a pie’ d’Agello ci viene aperta dai gentili componenti dell’Associazione Dinos.
Il «Dinos», come scriveva Bruno Egidi, era «un vaso da banchetto utilizzato in particolare dai Greci per miscelare vino ed acqua». Lo ritrovarono proprio ad Amandola, 1890. Lo usava l’aristocrazia picena in contatto con quella greca e quella etrusca. La piccola chiesa presenta affreschi che sono capolavori. Sull’abside c’è un Cristo sedente con in braccio una minuscola Madonna.
Sembra raffigurare i versi danteschi, canto XXXIII del Paradiso: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio…». Viene in mente anche la Pietà di Michelangelo, a San Pietro. Lei, più giovane di lui, ne tiene il corpo staccato dalla croce.
Gli affreschi richiamano l’icona bizantina.
La «Dormitio virginis» assomiglia a molti legni ortodossi.
Dalla Piccola Madonna abbracciata scende una striscia grigia che raggiunge Tommaso, l’apostolo incredulo, arrivato in ritardo alla morte della Vergine. Tommaso o Dìdimo, gemello, simile al Signore. Ci aspetta un diverticolo della Salaria gallica, che da Ausculum raggiungeva la Flaminia consolare.
E ci aspetta anche un tratto della strada non più ferrata dell’innovativa ferrovia Porto San Giorgio-Amandola. Costruita nel 1908, chiusa nel 1956, doveva raggiungere Sarnano, aggirare la montagna, collegamento con Umbria e Lazio. Nessun coraggioso ne sposò l’obiettivo. Il coraggio è merce sconosciuta.
Calcando terra soda, rasentiamo il fiume. C’era grande cultura dei corsi d’acqua, un tempo. Oggi, dimenticati, tornano protagonisti nei drammi alluvionali. Le anse non sono più anse, le sponde non più curate (l’Aso docet).
I detriti arrivano a bomba con le conseguenze conosciute… e le denunce – contro chi? – dei sindaci costieri.
Il Tenna è ricco di leggende. Portava al mare la voce della Sibilla.
Tra gli alberi in acqua: folaghe, aironi rossi e rane italiche.
Ecco, il lago artificiale di San Ruffino. Tra poco ci saranno le vele.
Il Convivium è necessario. Sta nel DNA di noi piceni rivisitati.
A tavola non mancano i vincisgrassi (non le lasagne!) annaffiati da un potente Rosso piceno.
Salute a tutti! •

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