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Il giorno delle loro nozze (foto gentilmente concessa da Cristina Girotti)

Colpo mortale all’accoglienza

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Fermo diventa improvvisamente l’epicentro della questione immigrati

Il giorno delle loro nozze (foto gentilmente concessa da Cristina Girotti)
Il giorno delle loro nozze (foto gentilmente concessa da Cristina Girotti)

Lo hanno ammazzato di botte per aver difeso sua moglie, Chinyery di 24 anni, da insulti razzisti. È morto Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo nigeriano di 36 anni dopo essere stato picchiato da un ultrà della Fermana. Camminava per via XX Settembre, insieme a sua moglie. Due residenti hanno iniziato a insultare Chinyery chiamandola “scimmia”. Emmanuel ha reagito, ha chiesto spiegazioni. Ed è stata la scintilla della rabbia omicida, nata da una cultura di violenza e di razzismo.
Emmanuel 36 anni e la sua compagna Chinyery, 24 anni, sono arrivati a Fermo nei primi giorni di settembre 2015. Sulle spalle una storia di sofferenza e violenza che avevano deciso di lasciarsi alle spalle anche grazie all’amore che provavano l’uno nei confronti dell’altra. “Erano innamoratissimi, stavano sempre insieme e avevano grandi progetti”, racconta Don Vinicio durante la veglia di mercoledì 6 luglio davanti al seminario, residenza di Emmanuel e Chinyery. Insieme sono partiti dalla Nigeria dopo che Boko Haram aveva ucciso la loro figlia e i genitori caduti sotto i colpi dei terroristi durante l’assalto ad una chiesa. Così hanno deciso di intraprendere il viaggio verso una nuova vita, verso un domani pieno di promesse. Hanno attraversato il Niger e sono arrivati in Libia. Lì hanno subìto violenze e vessazioni da parte di trafficanti senza scrupoli. A sostenerli la speranza del domani che si è trasformata in un barcone diretto a Palermo. Ma durante la traversata probabilmente a causa dello stress e delle violenze, Chinyery, ha perso il figlio che portava in grembo.
Nonostante tutto “Emmanuel era sempre sorridente, pieno d’entusiasmo e di progetti per il futuro”, afferma Don Vinicio. “Sognava un lavoro, una casa e soprattutto il permesso di soggiorno per restare in Italia. Aveva imparato da subito l’italiano che parlava abbastanza bene, mentre la compagna stentava di più e usava soprattutto l’inglese”.
Ma quello che più ha colpito il sacerdote era l’affetto incondizionato dei due richiedenti asilo. Molto credenti, non avevano ancora avuto modo di sposarsi in quanto senza i documenti necessari. “Così ho celebrato il rito della promessa di matrimonio – racconta Don Vinicio quasi con tenerezza – una cerimonia simbolica molto antica che hanno voluto fortemente. Poi abbiamo fatto una grande festa e loro erano davvero felici”. Ora Chinyery è rimasta sola. Nei primi momenti la disperazione ha avuto la meglio, un mancamento e poi crisi d’isteria in cui ha detto a chi era con lei di volerla fare finita. “Lei non ha più nessuno – afferma il sacerdote – è arrivata sola con lui ed ora che Emmanuel non c’è più non sa cosa fare. Siamo molto preoccupati per la sua sorte”. L’uccisione di Emmanuel Chidi Namdi ha scosso l’intera comunità. “Spero – continua Don Vinicio – che sia un episodio isolato di qualche testa calda. L’habitat di queste persone è lo stesso di quelle che nei mesi scorsi hanno messo le bombe davanti ai luoghi di culto per scoraggiarmi. Noi però andiamo avanti, stiamo formando una cooperativa per creare vera integrazione e non limitarci alla sola accoglienza”.
Durante la veglia cui ha preso parte la cittadinanza, Don Vinicio Albanesi ha chiesto che quest’episodio non finisca nel dimenticatoio e che venga letto come un campanello d’allarme del crescente clima di razzismo e xenofobia. E ha detto che si costituirà parte civile nel processo a carico dell’ultrà. Sempre durante il momento di raccoglimento, la fidanzata di Emmanuel ha intonato un canto funebre nigeriano per ricordare il compagno. •

Vi scrivo con un grande senso di abbattimento.
Mi chiamo Antonio Giuliodori, sono di Osimo, ma vivo a Barcellona da 12 anni. Ho appena letto la notizia del ragazzo nigeriano ucciso a Fermo. Il marito di mia sorella è di questa bellissima città, la conosco abbastanza bene. Sono le mie care Marche. La violenza capita dappertutto, ma questa storia è paricolarmente cruda, perché ho letto che questi due ragazzi erano fuggiti dai terroristi di Boko Haram, dopo la morte della loro bambina e dei genitori di lei, e avevano fortunatamente trovato rifugio nel vostro seminario.
Allora è per questo che vi ho voluto scrivere. Perché in momenti come questo è più facile che prevalga l’odio e la rabbia sopra i sentimenti di pace e perdono. E chi fa tacitamente il suo lavoro di pace, quotidianamente ha bisogno di essere aiutato e confortato. A tutte le persone che come voi fanno accoglienza sento di voler dare tutto il mio supporto e il mio appoggio. Fate un gran lavoro. Mi viene anche in mente.. Fate incontri con la popolazione locale, lavori di integrazione dei rifugiati? Alla fine si odia sempre ciò che non si conosce.
Immagino feste popolari dell’integrazione dove a cucinare e servire sia gente del posto insieme agli immigrati. Dove si potrebbe cucinare italiano e africano e dove i rifugiati potrebbero raccontare le loro storie. E alle persone come l’omicida, anche e soprattutto a loro bisogna tendere la mano, del perdono, della comprensione, dell’aiuto. Non ho un’idea chiara di come poter aiutare in tutto questo, ma quest’estate sarò nelle Marche ad agosto e mi piacerebbe venire a trovarvi.
Un caro abbraccio dalla Spagna, da una città meravigliosa dove si respira un’atmosfera di pace e buona convivenza.
Antonio, 36 anni come Emmanuel

 

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