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RITRATTI: Giarmando Dimarti

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Raccontare la cronaca con la poesia. Entrare nelle pieghe della storia con i versi. Raggiungere gli angoli più remoti dell’animo con parole dense.

Questo è Giarmando Dimarti, personaggio eclettico, già dal nome. Poeta, insegnante, scrittore, amante di teatro e di musica, marito e padre. A Giarmando non piace la superficie. Lo affascinano le profondità. Non si trova bene nel banale. Scava e cerca il significato. Gli eventi non capitano a caso. Lui cerca le radici.

L’ultimo suo libro è ancor più rivelatore.  “Il tempo che ci siamo dati” è uscito di recente. Qualche settimana fa. Lo ha stampato la Andrea Livi Editore di Fermo.

«Abbisogno di cuore diamante nuovo di stagioni tremende nascoste silenti affilato come una luna esasperata nel denso cielo invernale per scrivere ancora versi per un alleluia di luce sopra gli iodi guerrieri sopra il corrotto che ingiuria selvaggio la terra».

E’ l’incipit «Per scrivere nuovi versi».

Ci vuole coraggio per vivere oggi oppure insignificante adattamento. Ma il secondo sarebbe diventar selvaggi come selvaggio appare l’orizzonte. «La bara della storia naviga le acque molteplici del tempo con sordidi scricchiolii di campana vuota e sino a noi conduce i suoi frutti acerbi ossa e polvere di re e regine di governanti audaci prometei di condottieri eroi ciurmatori di morte e di destrezza seppelliti nelle lotte prima degli impavidi corpi». La morte è un confronto con la vita, le ridà spessore, potrebbe ridarglielo. «Oscura carne ossa di suoni desueti giorni mesi anni secoli dissanguati dalla presunzione bellezza irriverente caduta e diversamente rinata diversamente caduta diversamente rinata araba fenice come di passaggi d’oscuro lignaggio zolfi e arcobaleni dopo un nubifragio cresciuta dalla cenere con odore di carbone straziato quale muta sillaba conduci al nostre presente in avaria dell’umano? Quale misura alligna la tua resurrezione di lampo e pietra?». Ma la storia è complessa: fatta di grandezze e di cadute. Un’altalena. Con un filo, terribile, sospeso su di noi e sempre risorgente: presunzione, presunzione, presunzione. Prometeo come Dio. Ma per andare dove?

No, non è questa la via, sembra dire Dimarti. Un’altra ce n’è, che qualcuno c’ha proposta.

«Ammara il mio cuore funesto la mia carnata mente e giugno inerme dove Francesco strinse un bacio lebbroso e fu guarito». La strada è un’altra. Quella indicata dal doppio Francesco: il Santo d’Assisi e il Pontefice romano.

Il lebbroso di ieri è il povero di oggi, ma non solo il lacero, lo sporco ed il malato. E’ l’uomo mendicante di senso. Abbracciarlo è l’unica risposta. Averlo in testa nelle scelte conseguenti è un cambio di mentalità e cultura.

Il tempo che ci siamo dati potrebbe essere l’occasione giusta.

Sciogliendo la domanda: Dio o mammona?

Dimarti - fotoGiarmando Dimarti è nato a Porto San Giorgio. Oggi vive a Grottammare. Laureato in lettere moderne all’Università di Urbino ha insegnato a lungo materia letterarie e latino al Liceo scientifico “Onesti” di Fermo. Attualmente (ma lo era già stato) è Direttore della Biblioteca Civica “Gino Pieri” di Porto San Giorgio. Ha scritto numerosi volumi di poesie. E’ apprezzato regista e sceneggiatore. Nel 1986 ha ricevuto all’Amministrazione comunale sangiorgese un premio per l’impegno in campo teatrale. E’ anche autore di testi per canzoni tra cui alcune per il gruppo di ricerca e canto popolare “La Macina”. Numerosi i riconoscimenti avuti.

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