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RITRATTI: Cecilia Borrelli

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Una monaca. Anzi: una Madre Badessa. A Fermo.
L’incontro inizia nel monastero di San Giuliano in Viale Trento, confinante con la bella Villa Vitali. Ad aprirmi è una «sorella», sorridente. Accoglienza, prima di tutto.
Tempo di guardare il giardino curato e la teca con le piccole icone che arriva Madre Cecilia Borrellli.
Minuta, occhi azzurri mobilissimi che denotano una intelligenza curiosa. Viene dalla Puglia. È nata a Torre Maggiore. È arrivata a Fermo nel 1982. La sua storia «religiosa» inizia alla scuola elementare. Aveva otto-nove anni quando insieme agli altri scolari e alla maestra portava, a Natale, un pacco dono ai bambini dell’Istituto Infanzia Abbandonata. Quei piccoli dai capelli cortissimi e divisa le suscitavano commozione. «Quando sarò sposata ne adotterò uno, ma gli altri?», così ragionava Cecilia da bambina.
A 14 anni inizia a crescere l’attrazione per la fede grazie ad un libro. La «Storia di un’anima» di Santa Teresa del Bambin Gesù le schiude un mondo di interiorità che l’attrae. Non è ancora una scelta. Ma una strada intravista.
Una strada che si fa più chiara all’Università. «Stavo sostenendo un esame di Storia medievale dove rientrava anche il movimento benedettino quando il professore: ateo dichiarato, mi pone la domanda: “Come si concilia libertà ed obbedienza?”.
Rispondo che per obbedire occorre la libera scelta di farlo». Lui guarda l’allieva, è sorpreso, e le fa: «Lei sarebbe una monaca perfetta!». Involontaria conferma.
Nel 1982 Cecilia entra nel monastero di Fermo. Postulante, poi novizia, poi professione temporanea quindi quella solenne (La Regula di San Benedetto è precisa: prima di scegliere valutare a lungo). È il 1986. È monaca dall’abito nero.
Tra le storie che vive nella comunità monastica fermana, ce ne è una particolare.
È gennaio del 1990. Una bambina di otto anni, Patrizia Tacchella, figlia del noto imprenditore d’abbigliamento (marchio Carrera), viene rapita a Stallavena di Crezzana (Veneto). 5 miliardi la richiesta di riscatto. Il 29 gennaio gli uomini del GIS guidati dal Comandante Alfa riescono a liberarla.
La banda dei torinesi viene arrestata. Suor Cecilia ha pregato con il rosario ogni sera dopo «Compieta» (l’ultima preghiera dei monaci prima di coricarsi). Il padre di Patrizia lo sa.
Come lo sa anche uno dei rapitori in carcere ad Aosta: V. B. Suor Cecilia ha scritto per Pasqua una lettera al SERMIG di Ernesto Olivero: invita i detenuti a non perdere la speranza, «il Signore vi ha già liberati».
Qualche tempo dopo, al monastero di Fermo giunge una lettera indirizzata proprio a lei. È di V.B.. Vi si legge: «Vengo per dirti di accompagnarmi nel cammino di conversione».
Da quel momento suor Cecilia, divenuta badessa, non ha avuto più titubanze, incertezze o dubbi. «La preghiera è potente». •

Cecilia Borrelli nasce a Torre Maggiore di Puglia. Ultima di quattro figli, frequenta il liceo classico, si iscrive a Filosofia per passare poi, mentre ha già ottenuto un nuovo diploma di Scuola materna, a Pedagogia dove si laurea. Dal 2004 è stata eletta Badessa del Monastero fermano. È il terzo mandato. Se le domandate qual è il capitolo che più l’affascina della Regula di San Benedetto, risponde: «Il 53»: Omnes supervenientes hospites tamquam Christus, gli ospiti arrivati siano accolti come fossero Cristo. Sette le monache che vivono con lei pregando, curando il giardino e l’orto, dipingendo icone.

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