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È tempo di coraggio

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Note a margine della giornata missionaria mondiale

L’ho conosciuto prima attraverso degli articoli che parlavano di lui e di quanto stava realizzando a Seoul. Poi incontrandolo nella capitale della Corea del sud. Qualche giorno fa padre Vincenzo mi ha scritto una mail per dirmi che nel caso tornassi in quella nazione avrei dovuto cercarlo con il suo nuovo nome da cittadino coreano: Kim Ha Jong. Mi spiega: Kim è il cognome del primo sacerdote coreano, “un giovane stupendo ed entusiasta della vita. Innamorato di Dio e della sua gente, morto martire a soli 25 anni”. Ha Jong significa servo di Dio: “Seguendo le orme di Gesù ho imparato a scegliere i poveri e a essere servo di questi fratelli e sorelle più diseredati”.
In questa domenica in cui la Chiesa celebra la Giornata missionaria, il mio pensiero va ai tanti missionari che ho incontrato sulle strade del mondo, sempre in prima linea accanto a coloro che si trovano nelle difficoltà. Penso ai religiosi incontrati in Eritrea durante la terribile siccità, impegnati anche ad accogliere quanti fuggivano dai conflitti della Somalia e del Sud Sudan. La mente torna in Medio Oriente, tra i missionari incontrati in Libano, in Terra Santa impegnati su più fronti, per essere accanto a donne e uomini che hanno perso tutto, e la cui vita spesso è affidata solo a queste mani che portano amicizia e solidarietà. Papa Francesco più volte ha guardato a queste popolazioni sofferenti; e anche nel dopo Angelus di questa domenica ha voluto chiedere preghiere per le popolazioni dell’Iraq e in modo particolare della città di Mosul, ferita da “efferati atti di violenza, contro cittadini innocenti, siano musulmani, siano cristiani, siano appartenenti ad altre etnie e religioni. Sono rimasto addolorato – sono sempre le parole del Papa – nel sentire notizie dell’uccisione a sangue freddo di numerosi figli di quell’amata terra, tra cui anche tanti bambini. Questa crudeltà ci fa piangere, lasciandoci senza parole”.
Ricordo volti e parole di quanti ho conosciuto e che mi hanno raccontato storie di sofferenza, di violenze senza senso, di uccisioni indiscriminate. Sì, ha ragione Papa Francesco quando dice che oggi “è tempo di missione ed è tempo di coraggio”. Che richiede un impegno “con lo spirito di sacrificio dell’atleta che non si ferma nemmeno di fronte alle sconfitte”, ben sapendo che “il vero successo della missione è dono della Grazia: è lo Spirito Santo che rende efficace la missione della Chiesa nel mondo”.
Tempo di coraggio, dunque. “Coraggio di rafforzare i passi vacillanti, di riprendere il gusto dello spendersi per il Vangelo, di riacquistare fiducia nella forza che la missione porta con sé. È tempo di coraggio, anche se avere coraggio non significa avere garanzia di successo. Ci è richiesto il coraggio per lottare, non necessariamente per vincere; per annunciare, non necessariamente per convertire. Ci è richiesto il coraggio per essere alternativi al mondo, senza però mai diventare polemici o aggressivi. Ci è richiesto il coraggio per aprirci a tutti, senza mai sminuire l’assolutezza e l’unicità di Cristo, unico salvatore di tutti. Ci è richiesto coraggio per resistere all’incredulità, senza diventare arroganti. Ci è richiesto anche il coraggio del pubblicano del Vangelo di oggi che con umiltà non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’”.
Torno ancora alla mail dell’amico coreano, che ha contribuito a costruire, così mi scrive, quel “minuscolo, fragile e barcollante ponte di bambù” per avvicinare Italia e Corea nelle opere e nella solidarietà verso i più poveri. “In questi anni – mi scrive ancora – ho imparato, inoltre, che le paure del nuovo sono solo degli alibi per mascherare i nostri meschini egoismi nascosti con legittime pretese di sicurezza. Che le diffidenze verso il diverso sono solo fantasmi dovuti alla stupida ignoranza e alla presuntuosa arroganza di chi non ha niente da imparare… Il diverso non è una minaccia ma al contrario una imperscrutabile ricchezza”. L’immagine del pubblicano torna per dirci che fare un passo indietro oggi significa mettere in primo piano i deboli, i sofferenti, i poveri. •

Fabio Zavattaro

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