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Santuario di Macereto, foto di Veronica Spanu

Restauri che tengano!!!

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 Alla “battaglia” del terremoto mons. Eraldo Pittori segnala Macereto.

Con l’inizio della ricostruzione saranno chiamati in causa gli addetti ai lavori: restauratori, soprintendenti, docenti e direttori di scuole di restauro. E l’interesse si accende e si amplifica intorno alla notizia che ci viene data da mons. Eraldo Pittori con voce autorevole e con tono declamatorio, che non scade in enfasi e retorica: il santuario di Macereto è scampato alla distruzione del terremoto. Ha riportato ferite, ma ci si appresta a curarle.
Sale quindi alla ribalta la questione dei restauri che è il tema di fondo di questo articolo e riguarda una serie di case, di opere d’arte, di edifici pubblici, di reliquie di vario tipo e di varie epoche. Un complesso problema che s’inserisce nel nero ricamo punto croce di una città martoriata dal sisma, un dolente quartetto d’archi e un pulsare di battiti artistici, ma soprattutto una giostra di tesori danneggiati che ci accompagna di strada in strada, di edificio in edificio, di chiesa in chiesa arrivando finanche al santuario di Macereto. Eraldo Pittori lo porta agli onori della cronaca con parole che ricalcano quelle di Vittorio Sgarbi: poche architetture come quella di Macereto possono dirsi intimamente bramantesche. Un piccolo capolavoro di struttura, quasi una semplificazione dell’abaco rinascimentale per comprendere la radiografia di monumenti finora salvatisi dai danni causati dal terremoto o peggio ancora dall’uso indiscriminato del cemento nelle ristrutturazioni successive al sisma del 1979. Un argomento primario contro cui si scagliano gli strali degli esperti che ne evidenziano due punti cruciali: da un lato l’appesantimento degli edifici antichi, dall’altro la cancellazione di metodologie e stratificazioni storiche. Questa considerazione ci fa interrogare sulla fragilità del patrimonio artistico e su quanto stiamo tramandando alle generazioni future.
Un restauro, disse una volta Federico Zeri a Norcia, è fatto di studi, analisi e indagini scientifiche per capire fino in fondo un’opera e per mettere a punto quello che si chiama comunemente progetto integrato di restauro. Ecco allora che sul glissato misterioso degli archi di Macereto e sulle mura della basilica si disegna il canto aereo di muratori, scultori, falegnami che hanno dato un corpo vivente alla fede. Questo spirito religioso, che forse ignoriamo, è stato lavorato da Filippo Salvi e Battista da Bissone, due artisti che hanno tentato con tutte le forze di esprimere l’inesprimibile. Noi dobbiamo conservare quello che loro hanno costruito, perché nulla di ciò che è successo vada perduto. I lavori fatti eseguire nel corso degli anni dall’arcivescovo Bernardini, da don Sante Eleuteri e da don Giuseppe Maria Conte hanno messo al sicuro e reso vivibile sino ad oggi il santuario di Macereto. Il risultato è stato lo scacco degli sponsor e il trionfo della bellezza e della conservazione.
È questo forse il cuore del restauro: la questione estetica è l’ultima cosa, prima viene la salvaguardia del patrimonio d’arte. Fermarsi al concetto vecchia maniera della conservazione contrapposta al restauro non serve a niente, perché i due aspetti convivono. Un conto sono gli interventi come il risanamento dei supporti lignei che Giuliano Arduini fece nella chiesa di Mevale, un altro le eventuali integrazioni per ricreare strati danneggiati e certezze. La conservazione delle opere d’arte deve spingerci prima di tutto a questo, a rileggerle in ogni riga, in ogni dettaglio, in ogni piega cercando di spiegare, nel ripristino, quello che di più recondito vogliono dire. È una marcia che flirta con le ombre della storia. Ha bisogno di macerare inquietudini, di dare un ritmo alla creatività, di scannerizzare i falsi e i veri restauri. Le soprintendenze in ciò sono brave. La vita del santuario di Macereto è questa incessante lettura di un monumento immobile e delle sue infinite interpretazioni che, al tempo stesso, lo trasformano e lo rendono uguale a se stesso. Niente è più stabile, niente è più mobile di un monumento appartato come il santuario di Macereto. Non ho né piercing, né tatuaggi, né belletti, sembra dire il santuario, non mi interessa fare passerella. Un po’ di normalità nascosta sull’altipiano non ha mai fatto male a nessuno. Ciò che fa male sono le scosse sismiche. Maledetto terremoto. •
Valerio Franconi – collaboratore de  L’Appennino Camerte

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