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Roma: il profeta Giona ritratto da Michelangelo nella Cappella Sistina

Più preghiera, più speranza

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Vivere la morte ed essere salvi porta alla verità

“Che il Signore ci faccia capire questo legame fra preghiera e speranza. La preghiera ti porta avanti nella speranza e quando le cose diventano buie, occorre più preghiera! E ci sarà più speranza”. Si è conclusa con questo auspicio, pronunciato a braccio, l’udienza di Papa Francesco, svoltasi in Aula Paolo VI e dedicata alla figura di Giona, “profeta in uscita, ma anche profeta in fuga”, inviato da Dio “in periferia, a Ninive, per convertire gli abitanti di quella grande città”. I saluti nelle varie lingue sono stati quasi tutti dedicati alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che stiamo celebrando. “Ricordo con commozione la preghiera ecumenica a Lund, in Svezia, il 31 ottobre scorso”, le parole del Papa: “Nello spirito di quella commemorazione comune della Riforma, noi guardiamo più a ciò che ci unisce che a ciò che ci divide”, ha assicurato. In Europa, la “comune fede in Cristo è come un filo verde di speranza: apparteniamo gli uni agli altri. Comunione, riconciliazione e unità sono possibili”.

Per Giona, “figura un po’ anomala” tra i profeti di Israele, Ninive è una città “da distruggere, non certo da salvare”, spiega Francesco: “Perciò, quando Dio manda Giona a predicare in quella città, il profeta cerca di sottrarsi al suo compito e fugge”. Durante la sua fuga, Giona “entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si era imbarcato per allontanarsi da Dio e dalla sua missione”: è da questo episodio che bisogna partire per “riflettere un poco sulla speranza che, davanti al pericolo e alla morte, si esprime in preghiera”.
“L’istintivo orrore del morire svela la necessità di sperare nel Dio della vita”, la tesi del Papa sulla scorta dell’invito dei marinai a Giona, che dorme durante la tempesta ed invece è sollecitato a invocare il suo Dio, perché salvi lui e tutto l’equipaggio. “La reazione di questi pagani è la giusta reazione davanti alla morte”, perché “è allora che l’uomo fa completa esperienza della propria fragilità e del proprio bisogno di salvezza”. “Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo”: sono queste “le parole della speranza che diventa preghiera, quella supplica colma di angoscia che sale alle labbra dell’uomo davanti a un imminente pericolo di morte”.

“Troppo facilmente”, invece, “noi disdegniamo il rivolgerci a Dio nel bisogno come se fosse solo una preghiera interessata, e perciò imperfetta”: “Ma Dio conosce la nostra debolezza, sa che ci ricordiamo di Lui per chiedere aiuto, e con il sorriso indulgente di un padre Dio risponde benevolmente”.

“Sotto la misericordia divina, e ancor più alla luce del mistero pasquale, la morte può diventare, come è stato per san Francesco d’Assisi, ‘nostra sorella morte’ e rappresentare, per ogni uomo e per ciascuno di noi, la sorprendente occasione di conoscere la speranza e d’incontrare il Signore”, argomenta Francesco per sintetizzare il senso della vicenda di Giona, che “riconoscendo le proprie responsabilità, si fa gettare in mare per salvare i suoi compagni di viaggio”. È allora che la tempesta si placa, e che Giona porta a compimento la missione affidatagli da Dio. La speranza, che aveva indotto i marinai “a pregare per non morire, si rivela ancora più potente e opera una realtà che va anche al di là di quanto essi speravano: non solo non periscono nella tempesta, ma si aprono al riconoscimento del vero e unico Signore del cielo e della terra”.

“Aver affrontato la morte ed esserne usciti salvi li ha portati alla verità”, il commento del Papa. •

M.Michela Nicolais

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