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Quante storie nell’amarcord di Menicuccia e Antonio

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Visso: In via Galliano alla ricerca del tempo perduto 

Il profumo del pane appena sfornato e ancora caldo si avvertiva già all’imbocco della via. Era uno dei segni che Antonio Cappa e Domenica Montebovi (Menicuccia) erano al lavoro. Ci sono persone che si identificano con un luogo di elezione. Non si può pensare a via Galliano senza pensare ad Antonio Cappa e al negozio dove attendeva i clienti con sua moglie Menicuccia e sua sorella Chiarina.
Qualcuno ricorderà quella piccola bottega di generi alimentari con la porta sul profilo della strada, la luce del sole che la sfocava e la impolverava: là fuori il vocio dei passanti e il traffico da e per Ussita; dentro il negozio alcune file di scaffali con in bella vista pane, salumi e generi diversi; dietro il bancone Menicuccia col marito Antonio che si alternavano nei momenti di minor afflusso. Sono immagini che vanno dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Era una Visso segnata ancora dal dopoguerra e dai primi spasmi di cambiamento. Menicuccia era la figura che meglio incarnava il simbolo della crisi che attraversava Visso al graduale estinguersi della pastorizia, mentre si avviava al turismo di massa e voleva essere diversa da quella che era ed era stata. Una città vista con un’ottica, come si diceva allora, all’antica, secondo i dettami degli ultimi anni Quaranta. Qualche volta ricalcare il già fatto offre prove di verità. Portare alla luce certi particolari dal fondo trepidante della propria memoria permette di toccare al cuore l’essenza di un percorso di vita che fu palestra di assaggi e scoperte nel centro storico di Visso. In materia di ricordi ce ne è uno in particolare che m’insegue da decenni. Negozio di Antonio e Menicuccia in un giorno d’agosto di tanti anni fa. Tre turisti tedeschi entrano, fanno spesa, poi stappano una bottiglia di vino appena acquistata e la versano nei bicchieri di carta. Sono le nove del mattino, ma per loro evidentemente è normale così. Pochi secondi dopo dall’estremità del bancone arrivano pezzi di pizza al rosmarino e alcune fette di prosciutto appena affettato. Per loro questo è sicuramente meno normale: sorridono compiaciuti, s’informano, ringraziano. Benvenuti tra noi mi venne da pensare: quel piccolo gesto di Menicuccia, come un abbraccio, trasmetteva più di mille parole; un boccone di ospitalità spontanea che trasformava in un lampo tutto l’ambiente, dandogli un nuovo significato. Non era più un negozio qualsiasi e meno male, mi dissi, che quel bancone di via Galliano stava lì a salvare i turisti e i residenti anestetizzati dagli stimoli pubblicitari e gastronomici della civiltà dello snack. Menicuccia e Antonio, con gli odori del loro forno a legna e i salumi di produzione propria, davano il benvenuto a chi arrivava da fuori. I passanti riconoscevano l’aroma e dicevano: non può essere che la pizza al rosmarino di Menicuccia e Antonio. Da qui la nostalgia e l’ammirazione per la stagione fiorita di Domenica Montebovi che come simbolo di un’epoca ha già dato e che oggi mostra invece il prevalere della laboriosità, dell’economia familiare, della cultura montanara fatta di tradizione e di onestà. Questo piglio di donna d’altri tempi è anche l’elemento caratterizzante di suo marito Antonio. Questi, miscelando ancora a mano la farina bianca, creò la leggenda del pane di Visso che si conservava nel freezer anche tre mesi se bene avvolto in fogli di plastica, e all’occorrenza si estraeva per tagliarne poche fette e metterle in forno cinque minuti: tornava fragrante come appena cotto. Lo sguardo sul passato aiuta a metabolizzare il presente indigesto. Ora che Antonio e Menicuccia non ci sono più i ricordi sono offerti soltanto alle ragioni del cuore che non appartengono né a una sola generazione né all’impatto tragico delle cose che viviamo.
Ricorrendo a una passerella di semplicità e di sorriso entrambi sembrano dirci che un negozio può esistere perché in questo mondo ci sia ogni giorno un po’ di umanità e un po’ di sapore in più. E anche una strada è il modo per esprimere una serenata d’amore e di nostalgia verso un posto del mondo che ci appartiene, pur senza averne il certificato di nascita e il visto di appartenenza. Qualche volta riprendo a contemplare via Galliano in fotografia per riempirmi il naso di odori che dopo cinquant’anni non ne vogliono sapere di sparire. Antonio e Menicuccia hanno vissuto quel luogo con inimitabile struggimento, suonando il loro capolavoro di panetteria e di norcineria in una via della memoria, culturale e affettiva, in cui ancora si nasconde l’atmosfera artigiana di Nello il sellaio, di Pomanti il materazzaio e di Arminella ostessa d’altri tempi, ciascuno con una sua ministoria compiuta.
Per il resto via Galliano è rimasta com’era, a parte le recenti rovine che l’invadono e la citazione in questo articolo, farina di molti ricordi e di un’affettuosa frequentazione iniziata cinquant’anni fa. Oggi è quella frequentazione che idealmente rinnovo per rintracciare i testimoni perduti di una stagione nostalgica della nostra vita, che mai come ora ci riguarda. Una stagione che ha ancora bisogno del pane di Antonio e Menicuccia.per lasciarsi illuminare, della loro umanità e della loro devozione coniugale per commuoverci e incoraggiarci a tornare. •

Valerio Franconi

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Un commento

  1. giuseppe melchiorri

    Questo articolo mi ha fatto rivivere il lungo periodo della mia vita,tutti momenti che mi hanno fatto rivivere sensazioni che avevo assaporato e vissuto di persona,meraviglie delle meraviglie,grazie di cuore Valerio!!!!!!

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