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Summa injuria

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Barboncino all’asta per pagare un debito

È vero che ormai siamo ridotti all’osso; che ci hanno tolto dalle tasche tutto, rubato e commesso abominii di ogni sorta; che i boiardi di Stato intascano vitalizi d’oro e noi diventiamo sempre più poveri; ed è pure vero (e obiettivamente giusto) che esiste il diritto del creditore a rifarsi sul debitore moroso: verità sacrosanta, sancita dal diritto da quando il brocardo ubi societas ibi jus ha dato un assetto alle relazioni umane.
Tuttavia il ridicolo, di cui non infrequentemente si copre questa branca del “sapere” (non possiamo, oggi men che mai, chiamarla “scienza”) supera la realtà, e fa sghignazzare come si suol dire i polli, ma dall’altra parte fa piangere. Nonostante la legge n. 221/2015 estenda espressamente il divieto agli animali d’affezione e da compagnia (ovvero impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore), è stato pignorato un barboncino in quanto cresciuto in un allevamento e dunque a ciò votato.
Questo in dispregio dell’art. 13 del Trattato sull’Unione Europea e sul funzionamento della stessa, secondo cui “nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti (…), nonché della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, ratificata in Italia con legge 201/2010, che riconosce i “particolari vincoli esistenti tra l’uomo e gli animali da compagnia”, valorizzandone l’importanza “a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società”.
Ma, ancor peggio, in barba al fatto che questa piccola bestiola era la gioia del padrone, forse la sua ragion d’essere… Siamo ormai all’accatto, all’osso spolpato ma non ancora del tutto, e che va dunque ripulito a dovere fino all’ultima fibra. Non paghi?… allora mi rifaccio sul cagnolino che comunque potrò vendere all’asta senza interessarmi e curarmi del fatto che è un essere senziente (animale, è la radice stessa a suggerirlo…).
Summa iniuria summum jus, ammonivano i Romani, e non sbagliavano: quando il diritto si discosta così tanto dall’etica non può che partorire aberrazioni: forse il debitore non aveva altro – chincaglieria, qualche pezzo di legno, un divano sfondato (anche se pare che anche questi “beni” siano stati subastati) -, ma è certo che “porre a garanzia” di un inadempimento pecuniario l’animale solo perché d’allevamento – e quindi “nel rispetto” della legge – è un atto che non fa onore al legislatore.
Che ultimamente pare un po’ troppo “distratto”, affaccendato in ben altre faccende. Che cosa avrà pensato il padrone, ma anche quel piccolo batuffolo nel vedersi trasportato come un pacco postale? La verità è che hanno fatto tante leggi sul divieto di vivisezione e sul rispetto degli animali in genere, ma poi – come il diritto alla privacy che viene smentito a ogni piè sospinto: privacy qua privacy là, e poi tutti siamo spiati e la nostra vita è alla mercé e sotto gli occhi di tutti -, per poi smentirle apertamente.
Ci domandiamo: è questo ancora uno Stato di diritto, basato sui tre capisaldi su cui si reggeva la vita in comune sin dai primi vagiti del jus? E la domanda, del tutto fuorché oziosa, suona ancor più ruvida e imperiosa di fronte a un caso apparentemente banale, perché spia del fatto che la civiltà sta scomparendo lungo il crinale vertiginoso di una irrimediabile decadenza.

PS.
Ultimissime dal Palazzaccio: punibile penalmente anche il solo patimento psichico degli amici a quattro zampe. Quando si dice la coerenza… •

L’istituto vendite giudiziarie di Pisa ha battuto all’asta una femmina di barboncino toy di circa 8 anni, dotata di microchip e certificato Enci (Ente nazionale cinofilia italiana). La singolare vicenda si è diffusa sul web a macchia d’olio Dopo varie offerte, ne è stata aggiudicata la proprietà per 300 euro.

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