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Omicidio in diretta

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Riflessione su un ennesimo truculento fatto di cronaca

“…la maggior parte di noi si inventa i propri strumenti di autoaffermazione, sperando in uno scatenamento aurorale di avatar”
(citazione da un blog)

Così l’informazione on line del 18 aprile scorso, h. 12,00: «Secondo le prime informazioni riferite dalle autorità, Steve Stephens avrebbe problemi psicologici seri, come mostrerebbe anche l’omicidio che per il momento non ha alcun movente. L’uomo in fuga è armato ed è considerato pericoloso. Il capo della polizia della città, Calvin Williams, ha lanciato un appello affinché decida di consegnarsi.
La vittima di Steve Stephens, l’uomo cui la polizia di Cleveland, in Ohio, sta dando la caccia dopo che il 37enne è sospettato di aver ucciso un uomo per strada e di aver poi postato l’omicidio su Facebook, è stato identificato. È fatto appello al pubblico di fornire qualsiasi indicazione, rimanendo tuttavia vigili. L’anziano sarebbe stato ucciso casualmente. La polizia ha trovato al momento un cadavere, probabilmente proprio quella della persona uccisa nel video, mentre al momento non risultano altre vittime. Il video è stato nel frattempo rimosso dal social network. In altri video, Stephens ha sostenuto di aver commesso altri quindici omicidi e ha promesso di continuare a uccidere fino a quando non lo prenderanno. L’uomo sostiene inoltre di aver “perso tutto” quello che aveva “nel gioco”».
Ora, l’analisi del profilo Facebook di un utente qualsivoglia è, il più delle volte, una vetrina della ripetitiva coazione a ripetere della sua vita, delle attività quotidiane tutte, scandite da precisi (quando non improbabili) ritmi di cui viene (troppo) spesso e volentieri fornito ampio e “ridondante” resoconto fotografico (ivi comprese le didascalie, su cui quasi sempre è pietoso tacere). Facebook è non solo un mastodontico aggregatore di contatti, relazioni e frammenti di vita quotidiana, una perpetua e strabordante conference call tra utenti dei cinque continenti, ed un vero e proprio buco della serratura dal quale spiare ma soprattutto farsi spiare, ma anche, e forse soprattutto, un mezzo semplice, immediato e diretto per comunicare. Ma per comunicare cosa? Lo scopo è sempre quello di mostrare (in un ossimoro: onanismo esibizionista) agli altri spezzoni della propria vita, brani del proprio “esistere” (reale? virtuale? ma dove corre il confine tra le due gestalt?) ottenendone la condivisione, il consenso, il positivo commento e, naturalmente, il “mi piace”, il cui numero è la certificazione inappellabile del proprio successo virtuale. Si viene così a creare un pericoloso circolo vizioso, uno stream of consciousness (consistente per l’appunto nella libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima che siano riorganizzati logicamente in frasi).
E ancora: ammettiamo che il delitto non sia stato commesso da una personalità “disturbata”. È impossibile non prendere atto che nell’attuale temperie non c’è più una linea di demarcazione, un limen tra fas e nefas – che nell’antica Roma era il segno della volontà divina, e significava imperativamente “non fare”, rappresentando la sfera di quell’attività che le divinità avevano deciso di proibire agli uomini: da cui l’hibris dell’antica Grecia, all’origine dello scatenarsi delle potenze dell’Olimpo contro la temerità umana. Delirio di onnipotenza che, come diceva S. Weil, se non si pongono limiti, oltre a distruggere l’altro distrugge se stesso. Oggi la vita non vale più di una “cosa”, in cambio della quale si baratta. On-off, lo zerouno dei sistemi binari, sì/no. Vita/morte, sesso/videotape, apri/chiudi: l’aut-aut dell’irrazionalismo/determinismo più bieco, la causalità della follia. Sentenzierebbe Aristotele: tertium non datur.
I sentimenti non hanno più senso e valore; si pilotano a comando, più spesso a casaccio, come spamming da buttare nel cestino. L’ospite inquietante è tra noi, il nulla incombe, travestito da nichilismo esistenziale. Il principio biologico ha lasciato il posto alla cultura della morte, sul cui altare vengono immolate sempre più vittime. Il demone della distruzione danza il suo macabro rituale sulle macerie di un mondo ormai orbo di luce. Dietro a vuoti feticci cieca si scatena sulla “inconsapevole” vittima la violenza demente. Salva il file? No, buttalo nel cestino. La vita come scherzo, la morte come gioco, dimensioni polarizzate sul cyberspazio, da una parte, e uno strapiombo a picco sul vuoto, dall’altra. Ma non si sale sul podio ammazzando in diretta sui social. O attraversando la strada per sfidare se stessi nel perverso gioco del tentare la sorte. Perché- ammonivano i greci, “chi supera il proprio limite, tema il destino”. •

Omicidio su Facebook a Cleveland, negli Stati Uniti. Un afroamericano di 37 anni ha ucciso con colpi di pistola per strada un uomo di 74 anni e ha pubblicato sui social network il momento esatto del delitto. Ha poi deciso di porre fine alla sua vita

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