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Da Tocca qui a Maria Salvador

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Le canzoni di J-Ax non vanno bene per i bambini. Lo “dice” J-Ax

Non sono un fan di J-Ax anche se alcune sue canzoni sono musicalmente carine e fanno muovere per bene; neppure mi permetterei di dare un giudizio sulla persona che mi è pure umanamente simpatica. Vorrei piuttosto ringraziarlo perché alcune sue recenti dichiarazioni dal sapore autocritico ci confermano che le canzoni di successo non sono neutre, ma hanno un rilevante peso educativo, sia perché vengono sibilate all’orecchio di fan sempre più bambini, sia perché sono usate dagli adulti come colonna sonora di feste infantili, nelle case, a scuola o in parrocchia.
Com’è noto, J-Ax è diventato padre da poco ed ha rilasciato diverse dichiarazioni in cui si è mostrato sincero, così com’è, bene o male, questo artista. In particolare, in un’intervista a Il Giornale, ha detto che diventare padre fa vedere “il mondo con occhi diversi” e permette di “rivedere il tuo passato”. “Son papà da poco – ha continuato – e ho anche smesso di fumare. Di fumare tutto. Ed è successo naturalmente”. E con tutto, sottolinea l’intervistatore, intende anche la marjuana. Infine, riferendosi al piccolo appena nato, ha concluso: “Beh da Tocca qui fino a Maria Salvador, ho molti testi sui quali dovrò dare spiegazioni”.
Andiamo anzitutto a vedere cosa dicono queste due canzoni, che coprono l’intero arco della sua carriera di successo, essendo la prima del 1993 e la seconda del 2015.
Tocca qui, che cantò con gli Articolo 31, è la storia di un incontro al bar tra il protagonista e una ragazza un po’ intellettuale cui viene offerto di toccare “qui”, la parte del corpo identificativa del maschile, per dirla eufemisticamente; si tratta della classica e un po’ stereotipata storia di una ragazza con pretese intellettuali, che, in fondo, cerca solo sesso di cui non riesce a fare a meno. Maria Salvador, che vanta oltre 140 milioni di visualizzazioni su YouTube, è un famoso ed esplicito inno alla marjuana promosso anche tra i giovanissimi, ovviamente senza riferire che si tratta di una sostanza psicotropa ed alterante la percezione, che può essere prescitta come farmaco sotto stretto controllo medico per particolari patologie e che non si compra all’angolo della strada per scopi ricreativi.
Saluto con gioia il modus pensandi di J-Ax-padre e mi auguro davvero che le sue dichiarazioni siano un primo passo per ulteriori considerazioni. Tuttavia, ci sono alcune riflessioni che già si possono fare.
La prima: quando tocca tirare su un figlio, si capisce che certe idee e certe narrative non sono buone soprattutto per i più piccoli, come quando si canta di donne tutte voglia-senza-cervello o di fumare marjuana come se nulla fosse.
La seconda: le canzoni sono l’espressione della libertà creativa, cui però corrisponde la piena responsabilità di quello che si canta. In questo frangente ricordo il triste episodio del Capodanno 2017 di Bari, quando, davanti anche a bambini di pochi anni anni, 3, Fedez e Rovazzi cantarono Vieni che ti mostro il ca**.
La terza: i contenuti di un brano che non vanno bene per il figlio di un cantante non vanno bene nemmeno per i figli degli altri, tanto più che, di norma, i genitori non hanno la possibilità di spiegare ogni singola canzone lanciata sul mercato.
La quarta: sarebbe cosa buona se altri artisti non aspettassero di avere un figlio per fare un esame di coscienza sulla propria responsabilità anche verso i figli degli altri, che vanno trattati come propri.
La quinta: non è corretto sostenere che educare sia dovere esclusivo dei genitori, mentre è compito di tutti quegli adulti che, a vario titolo, entrano in relazione con le nuove generazioni, quindi anche di chi produce canzoni esteticamente belle e accattivanti, ma condite di “fai quello che vuoi”, “divertiti come vuoi”, “fuma e bevi quanto vuoi”.
Se così non fosse, sarebbe come chiedere ai genitori di asciugare ogni giorno i loro figli che un manipolo di bulli si diverte a buttare completamente vestiti in una piscina.
E, beninteso, che li asciughino in silenzio, perché quel manipolo è la band di successo della scuola e di quello che fanno bisogna solo parlare bene, a prescindere. •

Marco Brusati

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