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Madonna dei Pellegrini, Caravaggio

Parole materne dipinte

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 Devozione e Arte Mariana nelle Marche

Pubblico numeroso alla conferenza del prof. Stefano Papetti, martedì 23 maggio, alle ore 21,15 presso il cine-teatro Conti di San Marone. Il tema Devozione e Arte Mariana nelle Marche era indubbiamente di grande richiamo. Il territorio marchigiano ha il più alto numero di santuari mariani. Basti pensare a quello dell’Ambro, Macereto, Loreto e Santa Maria Apparente, per rimanere vicini a noi. Il Santuario di Loreto poi ha una risonanza internazionale per essere stato visitato fin dalla sua fondazione da re, papi, artisti, intellettuali e pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. L’arte religiosa doveva servire da strumento per raccontare la storia della salvezza. Era insomma la Bibbia dei poveri, secondo l’espressione usata da San Gregorio Magno. L’iconografia mariana ha attraversato secoli di storia, ubbidendo di volta in volta a tipologie specifiche, frutto di bisogni materiali che cambiavano di volta in volta.
I Vangeli canonici non ci hanno lasciato nessuna immagine precisa di Maria, la madre di Gesù.
Gli storici dell’Arte Sacra ritengono che la prima rappresentazione figurativa della Madonna sia in una pittura murale nelle catacombe di Priscilla, a Roma, lungo la via Salaria. San Luca, l’evangelista, dopo la morte di Maria, realizza un’immagine mariana, ripresa da Raffaelo nel Rinascimento.
Con San Luca si afferma l’iconografia Achiropita, termine che deriva dal Greco-Bizantino acειροποiητα( a = non + χεiρ = mano + ποιεiν fare, produrre).
La pittura non è fatta da mano d’uomo ma è l’intervento divino che completa l’opera. Un’iconografia di questo genere è nella cattedrale di Maria Santissima Achiropita di Rossano Calabro dell’undicesimo secolo.
Nelle Marche, a Mercatello sul Metauro, attorno al 1100 viene commissionata una tela con Maria in trono con il bambino Gesù. La Madonna indica nel figlio che ha in grembo la persona da seguire. In tutte queste Madonne Achiropite sembra che i personaggi raffigurati somiglino a “gufi appollaiati sui troni”, secondo una definizione data da alcuni storici dell’Arte.
Tra il 1200-1300 la figura della Vergine acquista una tridimensionalità appena accennata ma sufficiente a far capire che il gusto pittorico va cambiando. L’opera di Giotto nella Basilica di Assisi e dei suoi allievi che si distribuiscono tra le Marche, la Toscana e l’Umbria, porta ad una nuova iconografia della Madre di Gesù. Allegretto Nuzi (1315- 1373), nato a Fabriano, lavora prima a Siena, poi a Firenze. Scappa da quest’ultima città invasa dalla peste e ritorna a Fabriano dove realizza una nuova iconografia della Madonna. È la Madonna del latte. È una tipologia che attraversa l’Italia centrale per ben due secoli, fino alla Riforma protestante e alla Controriforma Cattolica. Arricchirà chiese di opere d’arte veramente di pregio.
La Vergine Maria scende dal trono e diventa una donna del popolo.
Se i Francescani idealizzano la paupertas, la povertà come la massima virtù teologale, gli Agostiniani con il loro teologo Agostino Trionfi, di Ancona, teorizzano come più importante la humilitas, l’umiltà che ama nascondersi senza apparire. Prende il via allora una prima teoria di iconografie legate alla Madonna dell’umiltà. La Vergine è dipinta nell’atto dell’allattamento del Bambino, mentre è seduta in terra. Simone Martini è il primo pittore che inizia questo ciclo di rappresentazioni. Questa serie di dipinti si irradia in tutte le Marche. Ascoli, Fermo, Monte San Giusto, Corridonia hanno tanti quadri propri di questo motivo iconografico. C’è chi ha voluto vedere in questa teoria di sacre rappresentazioni un richiamo alla maternità. Si affermava la consuetudine nelle classi sociali alte, di affidare alla balia, l’allattamento del proprio bambino. Con il richiamo della Madonna che allatta il Bambino si vuole riaffermare il valore dell’allattamento materno. Andrea da Bologna, Carlo Crivelli, Gentile da Fabriano, Pietro di Domenico, questi i maggiori pittori che, nelle Marche, si rifanno a questa nuova iconografia.
Dal 1400 al 1550 circa, prende il via un altro ciclo pittorico, proprio questa volta solo delle Marche e della vicina Umbria. È l’inizio della rappresentazione della Madonna del soccorso. La Vergine Maria è rappresentata mentre brandisce un lungo bastone all’indirizzo del diavolo che vuole sottrarre il Bambino. Il contesto storico nel quale germina questo nuovo ciclo è quello delle sacre rappresentazioni che vengono date sui sagrati delle chiese. È d’origine francese la nascita di questo nuovo gusto artistico. Anche in questo nuovo ciclo pittorico, c’è chi ha voluto vedere il soccorso chiesto alla Madonna anche per debellare uno dei flagelli che allora mieteva vittime per tutte le contrade d’Europa, quello della peste. A Civitanova Alta, Baldo De Serofino esegue per la chiesa di S. Agostino una tela nella quale la Madonna s’impone con tutta la sua irruenza verso il diavolo, minacciandolo con un lungo bastone. Ora la tela è collocata su una parete nella pinacoteca civica “Marco Moretti”, presso la casa avita di A. Caro in Civitanova Alta. Indubbiamente, il dipinto doveva essere più grande di quanto sia ora. Quello esistente ne è solo una piccola porzione.

Madonna dei Pellegrini, Caravaggio

Nel 1294 con l’arrivo sul colle lauretano della Santa Casa, trasportata dagli angeli secondo la vulgata dalla Palestina, prima a Tersatto in Croazia poi a Loreto, inizia una nuova iconografia di Maria, La Madonna di Loreto. La costruzione nel 1468 del grande tempio voluto dal vescovo di Recanati, il forlivese Nicolò dall’Aste, sia a protezione della Casa di Nazareth sia per accogliere la gran folla di pellegrini che arrivavano da ogni dove, convinse tutti i papi a investire nel nuovo tempio. L’iconografia della Madonna di Loreto è semplice. La Vergine con il Bambino in grembo sta seduta sul tetto della Santa Casa che sembra fluttuare tra le nuvole. Un nugolo di angeli regge la Santa Casa con le mani per trasportarla a Loreto. Nel santuario mariano di Loreto lavorarono i più grandi pittori del Cinquecento-Seicento. Caravaggio che era a Loreto nel 1604 per controllare le opere del Pomarancio, realizza una grande tela nella quale la Madonna che porta in braccio il Bambino appare a due pellegrini. A Loreto e in tutta la diocesi di Fermo, dal 1600 al 1800, Ubaldo, Filippo e Alessandro Ricci realizzarono dipinti della Madonna di Loreto in molte chiese.
Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) e la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) prende il via una nuova iconografia della madre di Gesù, la Madonna del Rosario. Nelle figurazioni artistiche, la Madonna è di solito in trono con il Bambino in braccio, in atto di mostrare o dare la corona del Rosario. La vittoria della flotta cristiana sui turchi mussulmani fu attribuita alla protezione della Vergine del Rosario. Furono i Domenicani a diffondere la pratica del Rosario a la devozione alla Vergine Maria. I santi domenicani che ricorrono più di frequente nei dipinti sono: San Domenico di Guzmàn, Santa Caterina da Siena e Santa Rosa da Lima. Simone de Magistris (Caldarola 1538- 1613) lavora a grandi dipinti che hanno come oggetto la Madonna del Rosario, la più grande si trova presso la pinacoteca di Ascoli Piceno. Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato, dal nome del suo paese d’origine nelle Marche, dipinge la Madonna seduta sulle nubi con i piedi poggiati sulla mezzaluna. Tiene in braccio il Bambino e reca in mano un rosario terminante in una rosa; fra le nubi affiorano teste di cherubini. Il dipinto si trova nei musei Vaticani. Il Guercino dipinge La Madonna del Rosario con San Domenico e Caterina da Siena nella chiesa di San Marco ad Osimo. La Madonna col Bambino di Carlo Crivelli è un dipinto databile al 1480 circa ed è conservato presso la Pinacoteca civica Francesco Podesti di Ancona. È un’opera ricca di simbologia.
Francesco Podesti (Ancona 21 marzo 1800-Roma 10 febbraio 1895), a seguito della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione del 1855 ad opera di Pio IX, porta a compimento un grande affresco che ha per titolo “Proclamazione e discussione del dogma dell’Immacolata”.
Con l’opera del Podesti cessa la collaborazione della Chiesa con i pittori contemporanei, collaborazione auspicata da Paolo VI agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso ma ancora da realizzare.
La conferenza del prof. Stefano Papetti è stata apprezzata da un pubblico attento e competente.
Numerose le domande poste dai presenti al relatore, alle quali il prof. ha risposto sempre in modo completo ed esauriente. •

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