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La storia coperta dalle erbacce

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Amandola: verso il monastero dei benedettini

La costa è incandescente. Scelgo di nuovo la montagna.
È da tempo che non salgo al monastero dei santi Vincenzo e Anastasio.
Attraverso Amandola, scegliendo la strada del vecchio trenino, che evita il centro storico. È bianca, polverosa, piena di buche, ma suggestiva.
Superato il camposanto, dopo un po’ si gira a destra. Ci sono indicazioni per Garulla Superiore e Inferiore. La strada è stretta, ombreggiata, piacevole. Nessuno oltre me.
Fatto qualche chilometro, un’altra deviazione, a sinistra, per Abbadia e altri borghi. Lascio l’auto, zaino in spalla, cappello largo e scarponi. Salgo. Me la ricordavo meno impegnativa. Lo è. E molto ripida pure. A sinistra scorre un rigagnolo. I giornali nazionali hanno titolato: allarme siccità. Qui non ce n’è. A destra il fosso è molto più consistente d’acqua.
Curve su curve, poi la vegetazione lascia un pertugio. Eccolo, il monastero dei Benedettini che domina Amandola e le sue frazioni. È messo male. La porzione ultima sulla destra è crollata, le macerie sono ancora lì. La chiesa ha enormi crepe sopra la porta. Il cortile dell’edificio dove abitavano i monaci prima e la fraternità dei Francescani poi è sbarrato. Arrampicandosi un po’, si vede il crollo della parte centrale che ha lasciato scoperti i locali dei frati e il grande tubo del camino.
L’ultima volta che ci sono stato risale a tre anni fa. Si celebrava la messa in latino secondo il Concilio di Trento. Prima del terremoto, i frati hanno avuto problemi per il loro stile.
Mi seggo sotto ai pini. Passa un’auto della Protezione civile, si reca a Casalicchio, un poco più sopra. Più sotto invece si vede Amandola. Fu una delle prime Comunanze. È una pagina bella e dimenticata: la rivolta ai feudatari da parte dei contadini che volevano libertà dalla terra, inurbamento, casa propria. La comunanza si ricorda per il nome del comune e per un cartello – chissà se oggi sparito – all’ingresso di Balleria di Rubbiano, in terra di Montefortino. Non era un possedimento farfense quello che sto guardando. Di originale ha avuto anche un periodo storico, dal 1439 al 1473: quello degli abati manuali, quando i parrocchiani eleggevano l’abate. Democrazia? Un po’ eccessiva, ma democrazia come partecipazione popolare. Scrivo mentre la radio fornisce i dati dei ballottaggi. Ha vinto l‘astensionissmo: oltre il 50 per cento. Non è un bel segno. Mi tornano gli scritti di Antonio Gramsci che invitava la gente a «fare la storia», e Vaclav Havel, drammaturgo, dissidente carcerato, presidente della Repubblica Cecoslovacca, quello del Potere dei senza potere. I minori, cioè, ognuno di noi.
Riprendo la strada. C’è una cappellina solitaria, tra ginestre, fichi selvatici, margherite giganti, tarassaco, malve e conifere. È stata la casa del Beato Antonio Migliorati, agostiniano del 1300. Nubigero, perché comandava alle nuvole e alla pioggia. Le sue spoglie mortali furono «fucilate» dai soldati francesi nel 1798.
Mi piacerebbe raccontare queste storie ai profughi. E ascoltare le loro. Come quando a Montecassino il goto si sedeva accanto al vandalo e al franco e al latino. Ricostruendo così un mondo e una convivenza. •

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