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Alla scoperta delle “Radici”

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Radice. Sarà il tema della prossima edizione de Le Parole della Montagna. Me l’ha rivelato Simonetta Paradisi, cuore e direzione del Festival di Smerillo. Spero non le spiaccia che già lo divulghi, perché l’ha confidato nel corso di una semplice cerimonia che mi riguardava.
La montagna ancora una volta offre la rotta. Si riscopre creativa. Convoglia sguardi e menti a ripensare la nostra civilizzazione.
Il tre dicembre prossimo la Fondazione San Giacomo della Marca terrà un convegno ad Amandola sul tema della demografia e dello spopolamento. I nostri monti, che dagli anni Cinquanta dell’altro secolo sino al 1990 hanno subito un abbandono, stavano gradualmente riprendendo popolazione. Il sisma ha invertito di nuovo la rotta. Occorre il lavoro, perché la gente torni sui Sibillini. Occorre costruire edifici con nuovi sistemi, riadattare case tenendo conto del terremoto, allestire servizi adeguati Ma occorre anche – o forse soprattutto – ritrovare un motivo per riabitarli. Radice, appunto. Radici. Legami affettivi e non vincoli. Significati.
Ad Amandola, all’interno della manifestazione Diamanti a tavola, il FAI ha proposto un incontro con vecchi e nuovi ebanisti, confronto tra artigiani che si racconteranno. Profumo di legno, sapore di botteghe; rumori di pialle. Artisti. Una ricchezza da recuperare, presentare, rivivificare.
Mentre mi dirigo in auto verso il Santuario della Madonna dell’Ambro, ascolto una vecchia canzone di Francesco Guccini. La sento mia.
«Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera; la polvere rossa si alzava lontano e il sole brillava di luce non vera… E il vecchio diceva, guardando lontano: “Immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori e in questa pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’ uomo e delle stagioni… Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, e gli occhi guardavano cose mai viste e poi disse al vecchio con voce sognante: “Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”».
Le cronache riportano di cimiteri affollati di visitatori nei primi giorni di novembre.
Quando raggiungo quello di Montegiorgio, mi reco nella palazzina della Società Operaia del Mutuo Soccorso pensando al dipinto di Giovanni Segantini Ave Maria a Trasbordo.
Conosco quasi tutta la gente che qui vi riposa. Ogni nome un pezzetto di esistenza insieme: Aristide, Giorgio, Marcello, che suonavano la tromba; Filippo, il bombardino; Gaetano, che mi raccontava della Dalmazia occupata; Zeno, che faceva l’avvocato; Peppe, che abitava la casa più bella del Pino. Quanti nomi da ripetere perché non vadano dimenticati.
Radice è anche memoria di terre, storie, genti. Generazione su generazione.
Il ricordo è qualcosa di fisso nel tempo, che accadde. La memoria invece palpita oggi, rende presente un volto, un fatto.
Radice è profondità, humus, origine, fermento che rende frondoso l’albero. Lo slancia. Lo protende. Chi sostiene che radici e identità siano un blocco, una chiusura, pensa alle ceneri di ciò che è stato e non al fuoco che arde e muove. E commuove. •

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