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Il saluto del Direttore dell’ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei

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Il tempo scivola via in fretta. Dieci anni di storia per una testata giornalistica sono una tappa significativa, un buon traguardo, ma che non consente di fermarsi paghi. In un panorama a tinte fosche per l’informazione locale, in cui tante voci si spengono, “La Voce delle Marche” sceglie di guardare avanti anziché indietro, all’informazione 4.0, come avete voluto fare. Ed è la via per continuare ad esserci, quindi per servire la nostra gente e non sprofondare nell’anonimato e nell’insignificanza.
In un’epoca in cui sull’orizzonte della comunicazione è sempre più difficile distinguere il grano dalla pula, l’erba buona dalla zizzania, cercare la sorgente della verità significa credere ancora nella dignità di una professione, quella del giornalista, che conserva un significato proprio nella misura in cui riesce a farsi garante dell’autenticità. Ponte percorribile tra il reale e una sua corretta rappresentazione. Testimone credibile perché “prossimo” a quanto racconta, con le mani in pasta e “le suole delle scarpe consumate”, come raccomandava Egisto Corradi.
Il tema che affrontate, in apertura di questo primo ciclo di incontri, testimonia in modo inequivocabile quanto questo sia vero. Una narrazione bioetica strumentale, dettata da interessi economici e dall’ideologia, contribuisce a costruire una cultura della menzogna e della morte.
La competenza tecnica è conditio sine qua non per poter raccontare in modo comprensibile cosa sta accadendo sugli affascinanti palcoscenici della ricerca e della scienza, ma da sola non può bastare, se non è accompagnata da una onesta ricerca della verità delle cose e dal rispetto della loro natura.
Buon lavoro, allora, e buon cammino per i prossimi dieci anni e per quelli che ancora verranno.
Da parte di tutto il nostro Ufficio posso garantirvi tutto l’impegno possibile per essere a servizio del territorio (e dunque vostro) e per facilitare il più possibile la sinergia tra le realtà locali e quelle nazionali. Se non cammineremo insieme, investendo reciprocamente gli uni sugli altri e creando una virtuosa osmosi tra la periferia e il centro, non ci sarà futuro per nessuno e ci rimetteranno, più di tutti, le persone a noi affidate e che siamo chiamati a servire. •

Un cordiale saluto,
don Ivan Maffeis

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