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Le nostre figlie schiave del sesso?

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“Ragazzine di 10-11 anni immortalate in pose degne di escort navigate. Fotografie erotiche rimbalzate in poco tempo da una chat segreta di WhatsApp al grande calderone del web”: è successo a Rimini, come riferisce Il Giorno, che racconta anche di madri “terrorizzate all’idea che le immagini delle loro figlie seminude possano finire nelle mani sbagliate”. La vicenda è pressoché identica a quella delle liceali di Modena avvenuta qualche settimana fa, con l’ulteriore aggravante che in quel caso le ragazze avevano un’età media di 16 anni, mentre in questo si tratta di ragazzine decenni o poco più: bambine, insomma. La Polizia Postale sta indagando su chi abbia consentito la diffusione di immagini pedo-pornografiche; sapere chi ha violato la privacy fa parte dei doveri degli organismi di controllo e repressione, ma non dirà mai che quelle foto e quei video su Whatsapp non ci devono essere, né a 10 anni, né, diciamolo, mai, né private né tantomeno condivise in gruppi. Eppure, secondo uno studio della statunitense Teensave, il 70% degli e delle adolescenti ammette di fare sexting tramite Smartphone con il proprio partner.
A questo punto, credo sia giunta l’ora di tirare fuori la testa dalla sabbia e dirci, anche se può sembrare brutale, che giorno dopo giorno stiamo smettendo di svolgere il compito primario affidato agli adulti di ogni comunità, fin dall’alba dei tempi: proteggere i figli e le figlie dalle aggressioni del mondo esterno, affinché possano affrontare i pericoli quando sono abbastanza cresciuti. Una protezione che, diciamolo chiaramente, non esiste piùquando affidiamo bambini e bambine sempre più piccoli alla compagnia mediale di uno schermo, dallo smartphone alla TV pomeridiana, che inevitabilmente scolpisce il loro immaginario affettivo-sessuale, andando ad influire sulle relazioni quotidiane, sulla stima di sé e degli altri, su come vedono, percepiscono e valorizzano gli altri: il fatto non interessa “solo” il 43% che tra gli 11 e 13 anni accede a contenuti hard sulla rete, ma anche la restante parte che ogni giorno assorbe contenuti formalmente non vietati, ma che promuovono, indistintamente, una cultura che considera il corpo un oggetto del proprio e dell’altrui piacere, che esalta la fluidità sessuale ed il pan-sessualismo, che normalizza atteggiamenti sessualmente espliciti e seduttivi e che, passando da un videoclipa una fiction, da un programma televisivo pomeridiano in compagnia della nonna ad una rivista, contribuisce a diffondere una visione pornografica della vita con la conseguente perdita dell’innocenza nello sguardo sugli altri e sul mondo: una visione che si è ormai diffusa come un cancro sociale, ma di cui non ci si accorge nemmeno quando, come a Rimini, delle ragazzine di buona famiglia, ragazzine normali, ragazzine che magari stanno facendo il cammino per la Cresima in prima media, organizzano e gestiscono una chat erotica segreta. Sono loro che stanno diventando le nuove schiave del sesso e che vanno liberate dall’obbligo sociale di sentirsi apprezzate e al passo con i tempi, moderne e non “medievali”, proporzionalmente alla loro esposizione in rete, ai like che ricevono e al desiderio di sé che suscitano. Sono loro, nella drammatica fragilità di questa esperienza che condividono con i coetanei maschi, che ci richiamano al nostro dovere primario di essere genitori, padri e madri biologici o educatori, capaci di proteggerli da un mondo a cui invece li stiamo consegnando senza la minima resistenza, come dimostra, per esempio, il silenzio del mondo educante su un cartone animato in onda in tutto il mondoanche in questo periodo natalizio: si tratta di “Big Mouth”, in cui un gruppo di ragazzini e ragazzine delle scuole medie non fa altro che pensare al sesso come istinto animale: loro guide sono delle bestie con le corna, i demoni dell’ormone, che li istigano, anche quando sono riluttanti, a darsi sessualmente da fare; la sola possibilità che viene offerta alla complessa vita di relazione è il sesso, sempre, comunque, dovunque, fluidamente con chiunque: inevitabilmente, inderogabilmente, primariamente. Non c’è altro: non affetto, non pudore, non amore, ma parti del corpo proprio e altrui da scoprire, toccare e, quindi, violare. Questo approccio è divenuto talmente normale da non suscitare nemmeno un piccolo scandalo, o qualche interrogativo, fatte salve lodevoli e marginali eccezioni: ed è da questa nostra assuefazione che dobbiamo guarire, perché l’alternativa è lasciare che le più belle risorse della Comunità Umana si trasformino in banali “consumatori di sesso”, cosa che, in fin dei conti, è quello che i pochissimi padroni globali del mondo digitale non vedono l’ora che avvenga. Perché rende. E molto! •

Marco Brusati

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