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Legge ingiusta

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Il decreto salva Peppina non salva altri terremotati

Subito dopo le scosse di fine ottobre 2016, insieme a diversi Sindaci chiedemmo ad Errani una ordinanza per permettere ai terremotati la possibilità di costruire o installare a proprie spese e nei propri terreni alloggi di emergenza, come piccole casette in legno, roulotte, case mobili, container e/o moduli abitativi. Strutture temporanee che sarebbero state demolite o rimosse una volta finita l’emergenza.
Niente da fare, la risposta fu “i terremotati devono essere tutti uguali, sia se abitano in città che in campagna”. Peccato però che grazie alle sue ordinanze i terremotati non sono tutti uguali. Ci sono quelli ancora negli alberghi lungo la costa, hanno perso il lavoro e non hanno nessun reddito da più di un anno (…) L’alternativa era andare “al mare” e molti di loro si sono organizzati autonomamente, per non lasciare i loro animali, i loro campi, la loro attrezzatura incustodita e i loro luoghi. Così facendo hanno “alleggerito” il dramma dell’emergenza a comuni e protezione civile, non hanno chiesto le costosissime SAE e rimanendo nei territori hanno contribuito da subito alla loro ripresa. Questo fino alla scorsa estate, quando a causa di una solerte Forestale e un ancor più solerte Procuratore venne ordinata la demolizione di una casetta in legno che aveva costruito, senza tutte le necessarie autorizzazioni, Peppina, una terremotata di 95 anni residente a Fiastra. La vicenda salì alla ribalta nazionale e dopo una serie di vicissitudini, anche grottesche, finalmente il Governo pubblica sulla GU n.284 del 5-12-2017 il Decreto Legge 148/2017, dove all’Art. 2-bis (pag. 75) è contenuta la norma “salva Peppina”. Tutti convinti che, finalmente, oltre a Peppina anche gli altri che avevano costruito alloggi temporanei o posizionato roulotte/container/moduli abitativi sui propri terreni potessero finalmente dormire tranquilli. E invece no, per poter rimanere nella casetta temporanea, che verrà comunque demolita una volta ricostruita la propria abitazione, questa deve essere posizionata in terreno proprio ed EDIFICABILE, che può andar bene per Peppina ma non per tutti, ovviamente.
Fin qui sono parole di Emanuele Tondi, Sindaco di Camporotondo di Fiastrone.
A questo punto ditemi, anzi pretendo (…) che qualcuno dalla Stanza dei Bottoni mi dica: è possibile esercitare ancora la professione (suona più appropriato chiamarlo mestiere) di giurista? Si può scrivere una nota in margine alla nequizie più assoluta, a una vergogna che non smette di perpetuarsi nel tempo e grida in un deserto di mani, sguardi, implorazioni? O vogliamo appellarci per cortesia una volta tanto ai principi giusnaturalistici, specie a quello del suum cuique tribuere (a ciascuno il suo, vale a dire quello che gli spetta come soggetto inserito nel consorzio umano)? È vero (ce l’ha insegnato l’antico popolo romano) che ignorantia legis non excusat – l’equivalente di un brocardo più aspro, dura lex sed lex! Ma la legge è veramente uguale per tutti? Perché ancora questa patetica iscrizione che sa solo di algida condiscendenza verso chi non è uguale agli altri, perché  questa ipocrisia mascherata di pietismo? Che cosa può dire uno sfollato che ricostruisce una casa di tasca sua e col sudore della sua fronte, piegato dai rigori invernali, davanti a un decreto che, in forza del suo imperio, lo sbaraccherà di qui a breve (a Camere sciolte, chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato…)? L’hanno chiamato “decreto Peppina”, e su questo provvedimento, essendo la vicenda arcinota, siam tutti d’accordo. Ma gli altri sono forse figli di un Dio minore? Ma come si può essere un operatore del diritto quando una legge, che giocoforza va applicata, trafigge come saetta ogni più elementare principio di “vita”? Questa gente non solo è stata abbandonata, ma non è stata nemmeno onorata di una dignità che si è  ricostruita ciascuno da sé, con il sudore e le lacrime: perché, senza trincerarsi dietro le “buone maniere” che tanto suonano sdolcinate specie in questo periodo luccicante di sfrenata ipocrisia, il diktat è: bisogna spopolare questi territori, sono poveri quindi non contano perché non producono, non sono “efficienti”. Questo, superfluo rilevare, avviene in nome di quella cultura dello scarto che vuol gettare dalla Rupe Tarpea chi non è omogeneo al sistema, chi non può acquistare perché non ha soldi: mentre nella cavea del Potere tintinnano monete esageratamente oscene con legislature che possono finire a piacimento, basta una leggina e i maggiorenti se ne vanno beatamente a spasso con le tasche debordanti Alla faccia di chi non ha nemmeno di che mangiare, le casette fanno acqua da tutte le parti, e chi le ha costruite le deve abbattere: ché non conta questa gente, questa massa di diseredati, non conta per chi crede di essere eterno e di aver rubato il posto a Dio. Ma Dio vede e sa tutto, e la resa dei conti è vicina.
Memento, homo… •

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