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Note dalla casa della memoria

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Servigliano: civitas perfecta. Era una volta Castel Clementino

Non è come l’inizio del mondo. Ma la notte gli somiglia. Occorre guardarla però con occhi e sguardo diversi. E non quelli dello spavento o della minaccia avvertita. Della calma, invece. Di qualcosa che s’è placato, che respira senza ansietà. Di un abbraccio sereno.
La notte è silenzio, forse sussurro, certamente profondità.
«La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina, – scriveva Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, filosofo russo, espulso dalla Russia dai Bolscevichi nel 1922 – di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora».
Giorni fa, m’è capitato di camminare in una notte splendida. La luna era immensa, incredibile. Quasi posata sul campanile della chiesa Collegiata di Servigliano. Venivo dall’ex campo di internamento, laddove oggi c’è la Casa della memoria, per ricordare lo scempio della guerra. Pensavo ai prigionieri austro-ungarici della Prima guerra mondiale (sono passati esattamente 100 anni dal suo termine), qui detenuti, alla fame, alla tubercolosi, al tifo e al freddo che li ghermì. E la mente correva a quelli nostri di soldati, prigionieri degli Imperi centrali, cui il governo italiano rifiutava Il pane di Stato, il pacco di viveri per alleviare la fame. Nella Seconda non andò meglio. Vi rinchiusero britannici, americani, greci, ebrei.
Chissà se c’era la luna di stasera in quelle sere quando diversi prigionieri scapparono da Servigliano e si rifugiarono, e furono nascosti, nelle case dei contadini della nostra terra, contadini che così facendo rischiavano la propria vita. Furono le donne, le vecchie soprattutto, ad aprire le stalle, ad indicare i pagliai dove celarsi. Le vecchie vestite di nero, identiche alle babushke che, nella Russia sterminata, in minuscole e povere isbe accerchiate dal ghiaccio, accoglievano i nostri ragazzi mandati al macello con le scarpe di cartone. Madri di qui, madri di là. Madri soltanto.
È Civitas perfecta Servigliano. Costruita, quasi quadrata, con il nome di Castel Clementino (1771) dopo la frana del colle più in alto.
Entro dalla Porta ovest, quella che guarda i monti. Nessuno in giro. Unico rumore l’acciottolato che calpesto. La città perfetta è un quadrato di quadrati, di piccole piazze, dove il verde non manca, intorno alla grande piazza Roma, di palazzi nobili: quello Filoni-Vecchiotti è il più impettito, di case ad un piano che fanno da mura di perimetro esterno, segno che gli artigiani vivevano sopra e lavoravano sotto. Uscito da Porta Clementina sono dinanzi all’ex convento dei Frati Minori Osservanti, l’ordine di San Giacomo della Marca, giurista, predicatore, infaticabile uomo di pace e costruttore di Monti di Pietà.
Servigliano, che è uno dei Borghi più belli d’Italia, tolte le città di mare, è l’unico paese in pianura del Fermano. Punto centrale tra la costa e la montagna, ospitava la Fiera del Piano, raccogliendo chi vendeva pesce e chi lana di pecora. Cerniera, dunque.
Torno sui miei passi, verso l’ex stazione ferroviaria divenuta centro di aggregazione. L’auto è lì pronta per attraversare il ponte che conduce alla montagna e alle sue favole, dove il sogno può diventare, volendolo, realtà.
Il volto notturno della Terra di Marca. •

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