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Principio misericordia

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Più di cent’anni fa, papa Benedetto XV, nella sua prima enciclica Ad beatissimi apostolorum (1914), scriveva: «Nelle discussioni si rifugga da ogni eccesso di parole, perché ne possono derivare gravi offese alla carità; ognuno liberamente difenda la sua opinione, ma lo faccia con rispetto, né creda di poter accusare altri di fede sospetta o di mancata disciplina per la semplice ragione che la pensa diversamente da lui».
Nell’odierna stagione ecclesiale, in cui papa Francesco invita ad affrontare le discussioni con parresia evangelica, le parole del suo predecessore risultano particolarmente opportune in relazione all’acceso dibattito che ha accompagnato prima la celebrazione dei due sinodi per la famiglia e quindi l’esortazione Amoris lætitia (AL).

Cambio di prospettiva
Non è sfuggito, alle coscienze critiche più avvertite, il fatto che l’esortazione non riguardi solo un particolare settore dell’agire morale, pur importante, ma chieda una decisa revisione dell’impianto stesso della teologia morale nei suoi fondamenti e nel suo complesso.
Amoris lætitia. Un punto di svolta per la teologia morale? si chiede, in un recente volume tradotto anche in italiano (San Paolo 2017), un gruppo di teologi di lingua tedesca.
In sintonia con questa prospettiva, l’Atism (Associazione teologica italiana per lo studio della morale) ha organizzato ad Alghero (3-7 luglio) il suo decimo seminario di studio dal titolo “La teologia morale dopo l’Amoris lætitia”.
Si è trattato anzitutto di cogliere il contesto del discorso del papa. Dinanzi ad una comprensione della morale (sessuale) che ricerchi un sì o un no, nella logica del lecito/proibito, il papa, oltre ad affermare che il magistero non può avere risposte a tutto, riporta il discorso a un piano più fondamentale nel quale la ricerca del bene viene prima dell’obbligo, l’attrazione verso una pienezza di valore è prioritaria rispetto alla declinazione normativa e disciplinare. In tal senso – come ha evidenziato la relazione di Giacomo Rossi – l’impostazione di Francesco abbandona la prospettiva razionalistica della modernità per riprendere la valenza sapienzale del discorso biblico.
La proposta magisteriale di Francesco chiede di prendere sul serio il tema del discernimento.
Sabatino Majorano, evidenziando una singolare coincidenza di accenti con la morale alfonsiana, rileva che occorre dare nuovamente fiducia alla coscienza, liberandosi da quel sospetto nei confronti di essa che per certi versi è stato all’origine del sorgere della stessa morale moderna. «Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL 37). Da qui l’importanza del discernimento come risposta allo Spirito. Per il credente le situazioni non sono qualcosa malgrado cui si fa discernimento, ma sono il luogo del kairòs da comprendere e di accogliere. Così il bene verso cui si è in cammino è il bene possibile. Parlare di bene possibile non significa legittimare una proposta al ribasso, ma significa volgersi al meglio pratico, mediante la grazia che ci è stata anticipata.

Il “principio misericordia”
Nell’udienza ai membri dell’Atism in occasione del 50° di fondazione, papa Francesco invitava i teologi italiani a «spezzare il pane della misericordia».
È un invito che Basilio Petrà, presidente dell’associazione, ha letto alla luce di AL 310-312. In questi numeri si invita ad assumere decisamente la prospettiva della misericordia quale architrave che sorregge la vita della Chiesa, chiamata pertanto a essere non una dogana, in cui i ministri sono controllori della grazia, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa. In tal senso, l’insegnamento della teologia morale, pur non tralasciando la cura dell’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, deve lasciar emergere «il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio». Da qui la necessità di superare «una morale fredda da scrivania» che giudichi dall’esterno, alla luce di principi astratti, per elaborare una morale che entri nella vita delle persone, che ascolti in modo partecipe, che accompagni con fiducia. La misericordia, infatti, per dirla con le parole di James Keenan, è la «volontà di entrare nel caos dell’altro».
Una morale che assuma il “principio misericordia” dev’essere consapevole di un cambiamento di paradigma, che si può esprimere con il passaggio dalla centralità della norma alla centralità della condizione peccatrice della persona. L’episodio della donna sorpresa in adulterio potrebbe essere assunto a icona, poiché ci dice due cose: la comunanza della donna con tutti gli altri protagonisti della scena è proprio nella condizione di peccato («chi di voi è senza peccato scagli la pietra…»); il peccato è superato dalla misericordia salvifica di Gesù. Non più: «abbiamo una legge e in base a questa deve essere giudicata», ma il peccato diventa con Gesù “porta alla grazia”.

Integrare la fragilità.
È da questo riferimento che è partita la relazione di Martin Lintner “Integrare la fragilità”. Dalla fragilità umana si può trarre una possibilità nuova: quella di sfuggire alla tentazione di autoredenzione per potersi affidare al primato della grazia divina. Da qui la necessità di uno sguardo nuovo sulla fragilità. È lo sguardo di Gesù (Metz parlava di «sguardo messianico»), rivolto prima di tutto non al peccato, ma alla sofferenza della persona peccatrice. È questo sguardo che la Chiesa, ospedale da campo, deve assumere. A ciò corrisponde la responsabilità del discernimento (pastorale, personale, disciplinare) nella logica di quella integrazione che già Familiaris consortio proponeva, ma che poi non è stata in grado di garantire fino in fondo.
Discernere, accompagnare, integrare: è questa la consegna del magistero di papa Francesco all’intera Chiesa e, in essa, alla teologia morale. Solo a partire dal primato della misericordia essa potrà rispondere in modo convincente e fruttuoso. •

Stefano Zamboni

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