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La forza della quercia: robur

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Belmonte Piceno: dalla Fonte Nuova a Santa Maria in Muris

Belmonte Piceno, strada per Monteleone di Fermo, parcheggio l’auto all’inizio di contrada Fonte Nuova. Voglio vedere il restauro della fontana degli anni Trenta che eredita le acque dell’antica Fontegranne ubicata, un tempo, sul lato opposto e più verso il paese.
La prima, ma anche la seconda, fu refrigerio per passanti e pellegrini, lavatoio ad uso di vergare e abbeveratoio di animali in pascolo.
Di questi tempi, ripasso Il Piccolo Principe dello scrittore-pilota Antoine de Saint-Exupery. Gli Illuminati vorrebbero fosse un libro per bambini. Ha invece una saggezza profonda che tocca ogni generazione.
«Se avessi cinquantatré minuti da spendere – si disse il piccolo principe – me ne andrei lentamente verso una fontana…».
Io ne ho qualcuno di più. E lo impiego in questa mattinata che annuncia primavera. Il recente restauro risulta ottimo. Il manufatto è in mezzo al verde: una sorta di rettangolo nella collinetta. Penso a quanta gente sia rimasta seduta ai bordi di questa e dell’altra costruzione, quante informazioni siano state scambiate, di quante storie d’amore notturne siano state complici le due fonti. «Press your lips to the fountain – scriveva Marty Rubin – and drink life in» ovvero: Premi le tua labbra alla fontana e bevi la vita dentro.
Scendo verso una casa disabitata. Qui le vene d’acqua non mancano. La terra è benedetta.
Una biscia, esile e nerissima, mi attraversa la strada. La rincorro per la foto. Risale rapida il fianco della collina. Smuove l’erba e si camuffa in essa. Lascio perdere e tiro dritto. Il casale è abbandonato. Qualche attrezzo resta sotto un capanno. La campagna però è ben tenuta. Segno di attività quotidiane.
Torno sui miei passi e mi sposto sino al bivio che indica una strada interrotta per Monsampietro Morico. È contrada Castellarso. Scomponendo il nome viene fuori: castello arso. C’è chi propende per il castello originario bruciato quando se ne fece uno nuovo più in alto: l’attuale Belmonte.
Il cammino è gradevole: né troppo caldo né troppo fresco. Si scende tra alberi ai lati, le querce resistono. Le nostre querce, il nostro simbolo.
Sono innamorato dei romanzi storici, leggo spesso Valerio Massimo Manfredi. Ricordo una sua frase: « Una quercia non può generare un giunco e un’aquila non può dare alla luce un corvo». Il vocabolo latino robur indica allo stesso modo quercia e forza. Ho letto che «Bach amasse sostare a lungo all’ombra della quercia e pare che abbia composto il Magnificat e il Vangelo secondo Matteo proprio durante quelle soste. Anche Van Gogh nella propria biografia sottolinea il potere della quercia nell’esaltare le proprie intuizioni e le capacità pittoriche».
Quando si cammina, da soli, in silenzio, ci si concentra sui propri passi. È come se si rientrasse in se stessi, più presenti nel proprio corpo, come se i quattro elementi si fondessero nel nostro umano.
Arriva acre l’odore di letame. Un agricoltore lo sta spargendo con una pala meccanica sul campo. Il ponte sull’Ete per Montesampietro Morico è sprofondato. Non si passa. Lo sapevo. Prendo per una salita che tira, tre chilometri circa. Sbuco quasi sotto San Simone, che mi piace ancora nominare: Santa Maria in Muris.
Stupenda! •

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