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Visitare i morti per dare speranza ai vivi. Il senso cristiano della veglia funebre

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S e un tempo nel Rosario serale ogni famiglia rivolgeva a Dio almeno una preghiera per “una santa morte”, oggi quando i discorsi finiscono a parlare di malattia e morte, subito qualcuno dice: “… cambiamo discorso, per favore!”. Per non dire, poi, del rifiuto dei genitori a mostrare le persone morte ai propri bambini: “… è meglio di no!”. Se il sesso è stato il grande tabù dei secoli scorsi, la morte lo è di certo per questo nostro secolo.
Diversa sorte non poteva esser riservata al morto. Premesso che molte più persone oggi, per ricevere cure fino alla fine, muoiono in ospedale e lì rimangono anche per il tempo previsto dalla legge prima di essere sepolti, anche adesso che la normativa consente di trasportare il defunto dopo la morte, molti preferiscono lasciare la salma all’obitorio per il tempo della veglia.
Le giustificazioni sono molte: “a casa c’è poco spazio!”, “dopo alla moglie fa brutto dormire nel letto dove è stato deposto il marito morto!”, “a casa ci sono i bambini!”, etc.
Se un tempo i familiari facevano di tutto per far morire la persona cara a casa, consapevoli che questo sarebbe stato il desiderio, ma anche un grosso dono per chi lasciava questo mondo, oggi assistiamo anche a famiglie che portano all’obitorio il congiunto dopo morto. Se un tempo i familiari più stretti si preoccupavano e occupavamo di lavare e vestire la salma, oggi addirittura la normativa ti impedisce di farlo, in particolare se uno muore in ospedale.
Pompe funebri super efficienti e super attrezzate gestiscono tutto, dall’acquisto dell’abito, ai fiori, dalla vestizione, al medico che accerta il decesso. Nel solco di questo diverso modo di approcciare e approcciarsi alla morte, va anche la “visita al morto”.
Anzitutto oggi si veglia solo di giorno, perché obitori e, a volte, anche le case stesse, di notte chiudono le porte. Se un tempo vicini, parenti, conoscenti e amici, appena ricevuta la notizia del decesso si recavano a casa e contribuivano ad una catena di veglia e preghiera alla salma, oggi le cose sembrano un po’ diverse. Appena si arriva nel luogo dove la salma è stata composta e deposta, colpisce il parlottare della gente, da sottovoce nei casi di persone più giovani, a una vera e propria confusione nel caso di anziani.
Ma i nostri genitori non ci hanno insegnato che il silenzio e il rispetto del morto sono il primo dovere per chi lo visita? Non ci hanno insegnato che un morto non ha bisogno di altro se non di preghiere? Addirittura persone anziane che visitano la salma e che, nella loro lunga vita, hanno recitato decine di rosari serali o al cospetto di altri morti, oggi siedono inermi, anzi alimentano il tanto parlare e addirittura, in alcuni casi, conoscendoti, ti dicono: “figlia dì un po’ una preghiera tu che sei brava a farlo”! Ma come, ci si chiede, non siete voi anziani che dovete dare a noi giovani il buon esempio?
Dal morto l’iter di molti oggi è … si arriva, si saluta i familiari conosciuti, si chiede come è successo, si fa il segno della croce, si sosta pochi secondi e poi si esce dalla stanza e ci si aggrega a capannelli di persone già in conversazione. Ma che sta succedendo? Perché di fronte alla morte abbiamo tutti un estremo bisogno di parlare e parlare di tutt’altro?
Anche all’idea della morte bisogna educarsi, altrimenti la paura ci porta a demonizzarla evitando di parlarne, di pensarci e di rifletterci in silenzio. Il morire non è cambiato, è quello di tutti i secoli, ma il nostro pensiero sulla morte sì.
Non a caso i nostri vecchi aggiungevano sempre una preghiera per una santa morte, nell’ascolto di questo i più giovani si educavano a pensarla, ad accettarla e ad averne rispetto. •

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