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Il gusto e il sapore della vita nelle zone colpite dal terremoto

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Dici diciottesima Mostra del pecorino e dei tesori della Sibilla e ti vengono in mente i formaggi di Marco Scolastici, le lenticchie di Luca Testa, i salumi di Focacci e di Angeletti, gli oli di Anna Sbaffi, lo zafferano di Cinzia Annibaldi, il miele di Umberto Turchetti, l’amaro Sibilla di Varnelli, la Pasta Amica di Camerino, il vino Primo di Cupi di Ginevra Coppacchioli, la cantina della fattoria Duri, i gelati di Mauro Montebovi, le acque oligominerali della Nerea. Festa dei sapori doveva essere e festa è stata. Una giornata che raccontasse il mondo economico dell’alto Nera per segni visivi, evocazioni sottili, colori sensoriali, notizie attraenti. Un progetto per vedere i prodotti alimentari del nostro territorio con gli occhi del produttore e dello studioso, lungo forme rievocative che incitano a guardare dietro il semplice carattere, dove la notizia permette di scorrere oltre la sua apparenza, oltre il perimetro del suo territorio e della sua materia. L’iniziativa, promossa dalla piccola comunità di Cupi e portata a compimento dall’infaticabile Augusto Ciammaruchi, si è avvalsa di tre esperti – Marco Antonini, Luciano Giacchè, Giocondo Ansidei – chiamati a creare delle premesse per celebrare il connubio tra sistema produttivo, economia e storia, guardando al futuro. Uno scrigno segreto capace di offrire un’interessante panoramica dell’economia agricola riletta col bagaglio culturale dei documenti e di una nuova logica di mercato, è la relazione del prof. Luciano Giacchè, da cui è emersa una verità che dovrebbe essere di comune dominio, almeno nel suo succo: la montagna è molto avara in quantità e generosa in qualità; se noi inseguiamo la quantità queste zone non sono in grado di produrla. In tal senso l’esempio che i Coppacchioli ci hanno offerto e che lascia ammirati e stupefatti – l’impianto di una grande vigna di pecorino o vissanello a Cupi, a oltre mille metri di altitudine – ha un valore d’indirizzo: riportiamo nella montagna quello che è della montagna e delle sue potenzialità. E’ lo stesso mercato che, globalizzandosi, induce ad andare verso questa direzione e ad aprire prospettive nuove a un territorio ricco di componenti di nicchia. Tra questi la pecora Sopravissana, la capra Facciuta e il maiale Cinghiato che un tempo pascolavano in abbondanza nelle aree dei monti Sibillini. Purtroppo, come osserva il prof. Luciano Giacchè, la montagna non ha saputo valorizzare le sue risorse endogene e si è accodata a quello che l’industria elementare proponeva: la grande produttività.
Attirando lo sguardo sull’esempio di Norcia, che dopo il distruttivo terremoto del 1859 grazie alle risorse economiche locali trovò la sua linea vincente, il prof. Giacchè propone un cambiamento di mentalità: far tesoro del patrimonio varietale, sia animale che vegetale che la montagna offre, senza cedere alle lusinghe della deriva mercantile.
Il dott. Marco Antonini dell’Enea aggiunge a sua volta altri preziosi motivi di riflessione sulla razionale pastura delle greggi. Il suo è anzitutto un invito a tornare all’utilizzo perfetto della biomassa sostenibile mediante la rotazione del pascolo, tenendo conto che questo è anche l’unico sistema per concimare il manto erboso. Deve essere in grado, l’allevatore o l’agricoltore, di capire quando deve togliere l’animale dall’alpeggio per dar corso alla rotazione. Lasciata poi dietro le spalle il problema della pastura del bestiame il dott. Antonini indica le due punte di diamante che permettono di abbattere il rischio d’impresa: la multifunzionalità aziendale e l’ingresso in filiera, che significa anche, e non è poco, minore spesa per il personale. Ma il problema dei problemi, diciamolo per incidenza, è quello che io chiamo il passato remoto e il futuro prossimo della pecora sopravissana, una razza che le mutate condizioni di mercato hanno messo finora a dura prova. Il dottor Antonini, fedele specchio della transizione verso la modernità, risponde con l’offerta di un compromesso: salvare il patrimonio genetico e il repertorio storico da un lato; accogliere le esigenze del mercato per i vantaggi che può offrire, dall’altro. La sua proposta è chiara: <<Per andare avanti non guardate indietro. Capisco l’amore per la razza sopravissana e perciò partiamo da quella. Magari si fa un programma per la sua conservazione come è giusto che sia, perché parliamo di varietà genetiche che ci potrebbero essere utili per altre situazioni e pertanto vanno conservate. Però se la razza non è economicamente produttiva va modificata. Va fatta una linea sopravissana per i nuovi obiettivi che ci proponiamo>>.
Retaggi del nonno su un letto di modernità. Tradizione e innovazione. Un matrimonio che vale anche nel discorso di Giocondo Ansidei, di Slow Food Marche, che risponde a questa rivoluzione con l’impegno di portare il consumatore a contatto diretto con il produttore, mettendo a disposizione la rete locale, regionale, nazionale dell’associazione che lui rappresenta. Il suo è un invito a non fermarsi ai singoli problemi aziendali, ma ad unire le forze e ad agire tutti insieme per uno scopo comune. In sostanza Ansidei scopre l’altra faccia della luna: la necessità di affiancare alla dimensione soggettiva delle questioni commerciali anche il peso riconoscibile di una visione globale della realtà. Come dire: nell’ansia di riedificare le case ci deve essere anche il tempo per collaborare e per ricostruire l’economia.
Il difficile è trovare un’etichetta alla prova d’orchestra di questa diciottesima edizione della Mostra del pecorino e dei tesori della Sibilla. Un beccuccio salva sapori dei tempi andati? Una parodia colta? Una celebrazione del territorio? Forse, semplicemente, una suonata perfetta del gusto e delle potenzialità dell’alto Nera. •

Valerio Franconi

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