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Il Vescovo contempla-attivo al servizio del Regno di Dio

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Civitanova Marche. Una serata per ricordare mons. Tonino Bello e per riflettere sull’etica del volto e su come lui l’ha sperimentata

È stata una serata di alto profilo culturale quella trascorsa venerdì 29 giugno 2018, dalle 21,30 alle 23,30 presso la sala don Lino Ramini di Civitanova Marche. Essa è stata vissuta nel ricordo di don Tonino Bello, vescovo conciliare e testimone del Vangelo nella realtà del nostro tempo. Tutto ha avuto inizio alle ore 21,30, secondo un programma sapientementeorganizzato. Don Mario Colabianchi, parroco dell’Unità Pastorale “San Pietro – Cristo Re” di Civitanova Marche, ha dichiarato che ogni anno, in occasione della festa di San Pietro e Paolo, l’Unità Pastorale organizzerà delle serate per ricordare alcuni grandi testimoni del nostro recente passato. Avranno pur un senso, le visite fatte da Papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana, i borghi rurali di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, a Pietrelcina e San Giovanni Rotondo, i paesi di Padre Pio, a Alessano e Molfetta, dove nacque, fu sacerdote e vescovo don Tonino Bello, a Nomadelfia, la comunità villaggio voluta da don Zeno Santini e a Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, la visita fatta a Palermo (14- 15 settembre 2018) per ricordare l’anniversario della morte di don Pino Puglisi, ucciso dalla Mafia. Tutti ora riposano ella tomba, ma in vita sono stati testimoni di memoria, fedeltà e profezia.
L’attrice Emilia Bacaro ha letto, durante la serata, tra un intervento e l’altro, alcune delle più belle pagine scritte da don Tonino Bello: Volti rivolti (Etica del volto) e Basilica maggiore (il primato della persona). E’ stata un’occasione unica per conoscere da vicino lo scrittore, il poeta, il vescovo conciliare. Aldo Caporaletti, promotore e organizzatore dell’evento ha raccontato nel corso del proprio intervento che, pur avendo organizzato circa cento eventi culturali, ha sempre un groppo alla gola e si commuove fino alle lacrime, quando legge gli scritti di don Tonino Bello, tanto sono ricchi di verità e di passione comunicativa, ancorati alla testimonianza evangelica.
Renato Brucoli, editore e giornalista pubblicista, nato a Terlizzi, dove vive e lavora, amico di don Tonino Bello, ha tracciato con parole semplici e dirette al cuore il fascino di don Tonino. Direttore responsabile della rivista d’arte Tracce, Brucoli collabora mensilmente con il periodico La Nuova Città. È addetto stampa dell’associazione Accoglienza Senza Confini Terlizzi e della Rete Associazioni Italiane Solidarietà Accoglienza, che favoriscono l’ospitalità di minori bielorussi in Italia nel dopo Chernobyl.
Umiltà, semplicità, capacità di servizio, serenità, impegno, tenacia, gioia, certezza che Cristo è risorto, queste sono le note dominanti del vescovo di Molfetta. “Di te ha detto il mio cuore: / Cercate il suo volto; / il tuo volto, Signore, io cerco. / Non nascondermi il tuo volto”. Dio manifesta il proprio volto in quello del povero, del migrante, del malato, dello sfrattato. Due sono le parole che hanno animato l’attività pastorale di don Tonino Belo: Pace e Carità. “Pace a voi”. E’ la prima parola del Risorto. Don Tonino, testimone di Cristo nel proprio tempo, era mosso da un desiderio ardente. Voleva ricostruire la famiglia umana attorno ai valori non negoziabili del Vangelo. La parola Carità rimanda alla carriera di Dio in Cristo. Dio ha tanto amato gli uomini con viscere di misericordia, abbassandosi alla condizione di servo. “É giunto il momento di richiamare dall’esilio la Santissima Trinità perché diventi sorgente da cui scaturiscano l’etica del contadino e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell’economia” (Don Tonino Bello, Volti rivolti. Essere dono l’uno per l’altro).
Don Tonino non parlava soltanto ma agiva concretamente, tanto che alcuni hanno coniato per lui un neologismo: Contemplattivo. Contemplazione è una parola formata dal verbo contemplare e dalla parola “azione”. Ecco perché andò, già malato nel fisico, come messaggero di pace assieme ad altri volontari, a Sarajevo assediata dalle milizie serbe, durante l’estenuante guerra balcanica. Dichiarò la propria obiezione fiscale per non finanziare le spese militari. S’impegnò non poco per la demilitarizzazione della Puglia, che aveva a Gioia del Colle un arsenale missilistico d’inaudita potenza. Riuscì a convertire chi produceva le famose mine anti-uomo. L’ex produttore di armi sta ancora sminando il territorio della Bosnia. Fondò, a Ruvo di Puglia, una comunità per i tossicodipendenti, accompagnò i malati di AIDS, adoperandosi come nessun altro per loro. Fu prete e vescovo di grande spiritualità.
La contemplazione della parola di Dio era la fonte del suo agire. In un’epoca di dissolvenza dei volti, don Tonino riscoprì l’etica del volto. Viviamo in un mondo dove non c’è vicinanza reciproca. I migranti sono numeri, quote, non sono volti e persone. Eppure per il vescovo di Molfetta, il cristiano non ha la possibilità di conoscere Dio se non attraverso il volto dell’altro visto nella totalità della sua persona. Dopo la predicazione del Vangelo, il primo millennio ha posto l’attenzione alla figura di Dio, il secondo millennio ha, invece, elaborato le riflessioni sull’uomo e la sua dignità, il terzo millennio sarà caratterizzato dalla scoperta del volto dell’altro. L’umanità si salverà se sarà capace di guardare il volto dell’altro.
Belli gli aneddoti raccontati da Renato Brucoli riguardanti la sua lunga amicizia con don Tonino Bello. Quando il vescovo lo chiamò a dirigere, lui primo laico, il settimanale diocesano “Luce e Vita” che aveva già sessant’anni di pubblicazioni, Brucoli accettò subito. Aveva accanto a sé una persona straordinaria, capace di accompagnarlo nel proprio difficile incarico. In molte cittadine della diocesi, Molfetta, Ruvo Giovinazzo, Terlizzi, erano i giorni degli sfratti. Centinaia di famiglia si trovarono di punto in bianco sul lastrico. Don Tonino incaricò Renato Brucoli di affrontare il tema sulle colonne del settimanale diocesano.
Il nuovo direttore gli spiegò come avrebbe affrontato il problema.
Dati alla mano, presi dall’ultimo censimento, avrebbe contato le case sfitte, i costi degli immobili sul mercato. Il vescovo prese la macchina, una cinquecento e lo portò in campagna per strade sterrate. Sapeva che lì avrebbero trovato gli sfrattati che avevano portato, sotto gli alberi d’ulivo secolari, le proprie masserizie: tavoli, sedie, letti e mobili. Avevano ricreato una propria casa che aveva per tetto un cielo di stelle. Lì, Renato avrebbe ascoltato le storie di ognuno e in presa diretta avrebbe scritto su di loro, come fece quasi subito, senza calcolare il tempo necessario per completare l’inchiesta. In ogni migrante, povero, senza tetto, don Tonino invitava a vedere i sogni, le speranze, i progetti che ogni mamma ha sul proprio figlio, prima ancora che questi nasca.
Lo sbarco dei primi centoventicinque immigrati albanesi, il 7 marzo del 1991, fu un’altra lezione di vita. Don Tonino alloggiò una parte di loro presso il seminario di Molfetta, ed altri li sistemò in diverse strutture diocesane. L’arrivo di migliaia di albanesi il 10 agosto dello stesso anno, presso il porto di Bari, e la loro sistemazione temporanea nello stadio della Vittoria, non lo trovò impreparato. Andò di persona prima al porto poi allo stadio; si mise in mezzo tra gli immigrati e le forze dell’ordine, invitando queste ultime a usare metodi più umani. Tanto fece che riuscì a convincere alcuni militari a fare incontrare due sorelle, una più grande e una molto più piccola. Piangevano disperate perché si trovavano lontane l’una dall’altra. Gli uomini in divisa che lo conoscevano gli chiesero di non danneggiarli davanti ai loro superiori. Domandò se poteva parlare con questi ultimi. Non c’era tra loro nessun superiore. Ponzio Pilato insegna sempre. Era un agosto torrido. Intere file di giovani collassavano sotto il sole cocente. Per farli rinvenire, venivano gettate loro addosso secchiate d’acqua e questo durò per molte ore finché non arrivò l’aria più mite della sera. Per una parte di questi disperati trovò una sistemazione finanche nei locali del proprio vescovato.
Don Tonino invitava tutti, fedeli, religiosi, istituzioni a uscire dal proprio stallo. Il cristiano per don Tonino Bello, è chi si sporge verso l’altro rispetto al proprio baricentro. Il contrario della povertà non è la ricchezza per il vescovo di Molfetta. Quest’ultima se ridistribuita tra tutti è un bene. Don Tonino non ce l’aveva con la ricchezza ma con il potere e con il potente che usa il povero per propri fini. Basti pensare alle leggi del caporalato che gestisce la raccolta dei pomodori e della frutta. La cronaca ha raccontato più volte degli immigrati di colore, impiegati in questa attività. Ammassati su camioncini stracarichi di persone, hanno incontrato la morte sulla strada del ritorno, dopo aver lavorato anche per tredici ore per poche manciate di euro. A completare la serata c’è stata la proiezione del film documentario L’anima attesa. Lo sguardo di don Tonino Bello per la regia di Edoardo Winspeare e Carlo Bruni, con Nunzia Antonino, Carlo Bruni, prodotto in Italia nel 2015.
“Carlo è un uomo d’affari che non crede più in niente.
La crisi economica, innescata da prodotti finanziari drogati da un’ingordigia speculativa, lo ha colpito in pieno, sia nel portafoglio sia nell’anima. Decide così di prendersi una pausa e di raggiungere per un fine settimana sua sorella nel Salento, ad Alessano, dove è sepolto don Tonino Bello.
Proprio durante questo viaggio, fisico e spirituale, grazie ad una serie di segni eccezionali, sperimenterà concretamente il reale messaggio del vescovo di Molfetta e per questo motivo avverrà in lui un cambiamento radicale”.
Di don Tonino Bello ci sono i luoghi della sua infanzia e quelli del suo apostolato, prima come prete, poi come vescovo.
Nel film compaiono: una fisarmonica rossa che don Tonino amava suonare e la sua cinquecento che per l’occasione è di colore rosso. Lo strumento musicale è sempre accanto ad un bambino che nella finzione ricorda Tonino Bello da ragazzo.
Il protagonista, Carlo si muove in treno, prima fino a Lecce, da qui, attraverso un’altra linea ferrata, il viaggio lo conduce ad Alessano. In macchina, assieme alla sorella raggiunge altri luoghi del Salento, dove don Tonino, da vescovo, aveva aperto centri di accoglienza per tutti i bisognosi.
Durante la serata, aleggiava in sala quasi la presenza del dottor Antonio Frassini, scomparso l’11 agosto del 2017. Era molto legato a don Tonino Bello. Aveva organizzato il ciclo-pellegrinaggio con gli Ex-allievi Salesiani da Civitanova Marche a Santa Maria di Leuca con la visita alla tomba di don Tonino Bello ad Alessano.
Aveva intitolato la sezione locale dell’Associazione Medici Cattolici al vescovo di Molfetta. Aveva chiamato Domenico Cives, il medico personale del vescovo di don Tonino, per una conferenza presso il cine teatro Conti di San Marone. In quell’occasione venne presentato il libro su don Tonino Bello: Domenico Cives, Parola di Uomo, Tonino Bello un vescovo per amico, quarta edizione, San Paolo, 2004, Cinisello Balsamo (MI).
Il dottor Frassini era molto impegnato sul tema legato al trattamento di fine vita, intorno al quale aveva organizzato molti convegni. Dall’alto ci avrà seguito e avrà sorriso per la bella serata. L’hanno ricordato Aldo Caporaletti, promotore culturale dell’iniziativa e molti amici di Antonio, presenti in sala. Quest’anno è stata celebrata, presso la parrocchia di San Gabriele in Civitanova Marche, una messa di suffragio nell’anniversario della sua morte. •

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