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La scuola tra crisi e valori

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L’uomo – ogni uomo – in teoria può scoprire ed inventare tutto quello che gli umani hanno scoperto ed inventato nel corso dei secoli, dal fuoco ai neutrini atomici. Non avrebbe dunque bisogno di niente e di nessuno per appropriarsi di tutta la storia del mondo e di tutto il progresso della civiltà. Il gruppo degli adulti, ovvero la società, per risparmiargli fatica e tempo nell’impresa di imparare, ha istituito la scuola: il punto, cioè, dove uno impara ciò che un altro insegna; e le cose che uno insegna e l’altro impara sono il programma.

A tutto questo lavoro dovrebbero naturalmente provvedere i genitori che però – angariati dal tempo e privi delle necessarie competenze – rinunciano a farlo in quanto possono affidare i loro figli a specialisti, incaricati di accelerare e facilitare i processi di apprendimento dei giovani. Educare consiste semplicemente nel fornire esperienze che arricchiscono la persona dell’alunno fino all’evoluzione avanzata di una personalità integralmente composta: mente, cuore, mano, diceva il buon Pestalozzi; oggi diciamo intelligenza, affettività, operatività. Insomma, l’uomo integralmente considerato. L’educazione della mente – ovverosia dell’intelligenza – si fa conquistando conoscenze, schemi, quadri logici, valutazioni, cioè si fa con l’istruzione che alimenta il mondo del conoscere attraverso la vita di relazione, il rapporto con gli altri, la socialità in generale.

L’affettività, come ovvio, non si trasmette, si vive e si sperimenta: il valore del merito, il senso dell’emulazione, la sensibilità per cose, animali e persone si confrontano e si misurano in situazioni di vita, di convivenza, di comunità che la scuola, in quanto organizzata per classi e gruppi di lavoro, favorisce e sviluppa. L’operatività, infine, promuove la dimensione fisica, la motricità vera e propria, fino all’istruzione professionale che completa il saper fare dell’uomo. Alla società non resta che rispettare la delega concessa dalle famiglie per l’educazione dei figli curando di salvaguardarne la crescita, secondo le regole della democrazia, che è il regime meno controverso che finora si conosca.

Oggi però la società è profondamente sconvolta e non può non riprodurre il suo disagio nella scuola: che è una delle sue istituzioni e che però è solo una delle agenzie educative – per quanto privilegiata per sua natura – ma non riesce con i suoi interventi, celebrati in quattro o cinque ore giornaliere, a governare le altre venti ore, in cui l’individuo è alla mercé dei media, dei computer, di famiglie anch’esse in crisi (quanto meno di valori), dei circoli del tempo libero, dei sogni dissipati della comunità. La scuola non gliela fa più mentre gliela faceva ieri in cui completava il disegno educativo di famiglie e gruppi sociali che condividevano, illustravano e realizzavano gli obiettivi che essa, forte presidio sociale, proponeva, correggeva e amministrava disinvoltamente. Fin qui, dunque, tutto pacifico, Eppure la scuola arde di problemi e di controversie. Gioverà parlarne un’altra volta. •

Fabrizio Fabi

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