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MONTE RINALDO: L’antico nell’era del web 2.0

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Sorge in una posizione territorialmente felice, quasi bucolica, tra le valli e le colline, immersa nel paesaggio agrario di Monte Rinaldo, l’Area Archeologica “La Cuma”, databile intorno al II sec. a.c., età della Roma repubblicana. Nonostante non vi siano città romane nelle vicinanze, si colloca a cavallo tra l’Aso e la Salaria Gallica, che collegava le città della media vallata dei fiumi del Piceno e dell’Ager Gallicus, passando per Forum Sempronii (Fossombrone), Aesis (Jesi), Ricina (Macerata), Urbs Salvia (Urbisaglia), Falerio (Falerone http://it.wikipedia. org/wiki/Falerone) e Asculum (Ascoli Piceno).

Ed è stata rinvenuta solamente poco più di 50 anni fa, a seguito di una fortuita scoperta da parte di contadini locali che si limitavano a svolgere il loro abituale lavoro di aratura nei campi. Quello che vediamo oggi è il risultato di due principali campagne di scavi, la prima, del 1957 e la successiva del 1958-62, le quali portarono all’individuazione e alla parziale messa in luce del Santuario, di epoca tardo ellenistica, e di strutture di età imperiale avanzata, impiantatesi sopra le rovine del precedente luogo di culto andato in disuso. Gli scavi hanno finora riportato alla luce elementi architettonici di un complesso cultuale costituito da un porticato, da un tempio e da un edificio rettangolare di incerta destinazione. All’interno dell’Area, trova ubicazione anche un pozzo, custode di statuette ed oggetti votivi in terracotta, segni che documentano la probabile pratica della sanatio, ovvero preghiere di guarigione rivolte ad una divinità, legate all’acqua, vista anche la copiosa presenza di sorgenti acquifere nelle vicinanze, che testimoniano la sacralità del luogo e dei riti che vi si svolgevano.

Tutti gli elementi finora alla mano, inducono ad ipotizzare che la divinità in questione sia Cupra, la magna mater locale, sicuramente una delle divinità di maggior rilievo dell’area umbro-picena. A seguito degli scavi effettuati, furono recuperati anche oggetti di particolare rilievo, come le decorazioni architettoniche esterne del tempio, rivestimenti di travi, il frontone che rimanda all’altare di Pergamo, ulteriori tipologie di votivi anatomici, ceramiche, che per anni sono rimaste nei magazzini della Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Ancona. Ora, o meglio, dal 2008, tali reperti sono conservati nel Museo Archeologico del Santuario Ellenistico di Cuma, sito presso la Chiesa del Crocifisso, grazie ad una fase di maggiore impegno da parte dell’Amministrazione comunale, ed in particolare del sindaco Vallorani.

Ci si auspica, poi, che gli Enti interessati e coinvolti possano adoperarsi affinché questo piccolo comune, che conta poco più di 400 anime, possa ricevere il giusto sostegno, anche finanziario, per poter proseguire con le delicate operazioni di scavo; poiché quelli che sono stati rinvenuti sono, molto probabilmente, solo una piccola parte del tesoro che la terra circostante nasconde. Il sito fa parte della Rete dei Musei della provincia di Fermo. Tesse annualmente collaborazioni con il TAU, Teatri Antichi Uniti, che qui, lo scorso 18 agosto, ha ospitato l’interpretazione di Moni Ovadia della sua “Lettura dall’Odissea di Omero”. Da questa estate, poi, grazie ad un progetto europeo, l’area è dotata di una suggestiva illuminazione, che allarga le prospettive, aumenta la fruibilità e valorizza il sito. Nell’era del web 2.0, il sito ha aderito con successo al progetto nazionale “Invasioni Digitali”, volto ad armonizzare e “ravvivare” questi luoghi culturali, accostandoli ai nuovi media ed alle nuove tecnologie, un cambio d’approccio per una maggiore partecipazione e relazione. Perché se un sito archeologico non lo si converte in palcoscenico, non lo si pubblicizza, non lo si rende al passo con i tempi, il rischio è che lo conosca solamente l’addetto ai lavori o l’acculturato turista straniero, ma non l’abitante fermano. •

Cinzia Laurenzi

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