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La parabola nell’officina del Regno dei cieli

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officina-parabole«Avete capito tutte queste cose?». Da questa domanda di Gesù (Mt 13,51) inizia il libro di don Andrea Andreozzi con il quale ha conseguito il titolo di dottore in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana. L’autore ha analizzato tutto un capitolo dell’evangelista Matteo convinto che “nell’officina di Mt 13, il comprendere diventa forza illocutoria per la produzione di nuove parabole: quelle dei discepoli della prima ora, ai quali vanno attribuite alcune delle parabole di Mt 13 e quelle dei discepoli di ogni tempo della storia, ai quali si collega, come finale aperta, l’ultima parabola di Mt 13,52”.

Don Andrea ha così sintetizzato il suo lavoro nelle osservazioni conclusive: “I principali risultati ottenuti sono da presentare su un triplice livello: sintattico, semantico e pragmatìco. Sul piano sintattico, la strategia del testo assegna ai discepoli il compito di muovere in avanti il racconto, specie nei passaggi chiave di 13,10 e di 13,36. Attraverso il riferimento a Gesù con due domande, sul parlare in parabole e sulla zizzania, fino alla fine del racconto, in cui sono loro che rispondono in modo positivo alla domanda decisiva posta da Gesù (13,51), i discepoli svolgono sempre un ruolo di primo piano, sia quando Gesù si rivolge alle folle sul mare sia quando si ritira in casa.

Dalla doppia ricorrenza del termine μαθητής, unito al verbo προσέρχομαι si arriva al risultato finale di essere scriba μαθητευθείς che il testo consegna al lettore come modello da assumere per continuare il cammino dopo la lettura. Il protagonismo dei discepoli contribuisce, quindi, a fare di Mt 13 non solo il capitolo delle parabole, ma il luogo della comprensione delle parabole di Gesù e del successivo utilizzo da parte dei discepoli di ogni momento della storia. Il discepolo ottiene da Gesù l’incarico di essere οικοδεσπότης, amministratore responsabile del tesoro delle parabole. Non si può allora capire il senso delle parabole di Mt 13 senza seguire il suo cammino e senza considerare il suo compito di comprensione.

L’attenzione così posta dalle parabole verso la figura del discepolo che comprende, spinge, in ultima analisi, a chiederci se il rapporto tra il νήπιος e il συνετός non possa essere rivisitato e analizzato dentro l’orizzonte di una sintesi raggiunta dal discepolo piuttosto che all’interno di una opposizione netta, così come lascerebbe pensare l’inno di giubilo di Mt 11,25. Sul piano semantico, ci sembra di essere arrivati alla conclusione che il tema del συνίημι abbia un suo spessore teologico, talora negato, come si può leggere in questa presentazione di H. Conzelmann, che, pur riconoscendo la particolare attenzione matteana, non si discosta da una valutazione minimale del termine negli scritti neotestamentari: Il gruppo lessicale non è mai giunto ad un’importanza teologica, tanto è vero che manca completamente negli scritti giovannei, compresa l’Apocalisse. Nel significato predomina la tradizione veterotestamentario-giudaica, come indica significativamente la presenza del gruppo lessicale in citazioni dell’A. T. (Mt 13,15; At 28,26s.; Rom 3,11).

Nei primi due casi si cita Is. 6,9s. Questo passo appartiene evidentemente al deposito fisso di materiale veterotestamentario utilizzato nell’apologetica (cfr. anche Gv 12,40). Quell’intensificazione dell’uso che si trova nei testi di Qumran non si riscontra nel N. T. Al massimo una certa inclinazione si può scorgere in Matteo. Mt 13 offre alla ricerca la possibilità di un pieno recupero della ricchezza semantica del comprendere. Quella che all’inizio era stata percepita non certo come semplice «inclinazione », ma comunque una caratteristica redazionale matteana, alla fine è diventata in un certo senso il vero tesoro, da cui sono stati attinti i molti valori del comprendere: i misteri del Regno, le parabole, la figura di Gesù, l’incomprensione, i discepoli.

Alla fine siamo usciti da Mt 13 con la convinzione che, contro quella che veniva chiamata teoria delle parabole, il συνίημι in Mt mantenga ancora il suo senso originario di «riunire» e il comprendere sia davvero un «prenderecon ». In questo modo le stesse parabole ricevono la qualità di rivelare più che di nascondere, di aprire, più che di chiudere, una comunicazione. Sul piano pragmatico, la nostra ricerca ha messo in rilievo che la comprensione dei discepoli non è finalizzata soltanto alla ortoprassi, al fare la volontà del Padre, come sostiene la maggior parte della critica, ma sia invece orientata più specificatamente alle parabole, alla necessità di custodirle, tramandarle, narrarle e farne di nuove. Dentro il cammino di Mt 13, il συνίημι fa crescere il testo e, grazie al protagonismo del discepolo, lo arricchisce di nuove parabole. Anche il lettore, reso competente nel captare la forza pragmatica di un simile segnale presente nel testo, è spinto all’impegno della narrazione e alla responsabilità di rendere sempre efficaci le parabole, all’interno di quella che abbiamo chiamato l’officina di Mt 13, sempre aperta al contributo di ogni lettore”. •

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