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Tra impegno e contemplazione

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fabiDice Francesco Di Nicola che alla maggior parte della poesia di Matacotta, almeno fino agli inizi degli Anni Sessanta, si deve riconoscere la caratteristica dell’impegno: e tuttavia proprio allora il poeta avrebbe avvertito il dubbio che la strada dell’impegno fosse stata da lui percorsa invano e forse un’altra, presto abbandonata, sarebbe stata più opportuna. In effetti, l’impegno rasenta sempre una ragione che comunemente chiamiamo politica: e questo avrebbe reso di parte l’alta testimonianza del poeta Franco Matacotta, portato invece verso un genere creativo e contemplativo, distante cioè dalle dispute e dai sistemi correnti. Ciò spiega il successo e la simpatia che caratterizzarono il lavoro e l’ispirazione del primo Matacotta e poi il relativo sussiego, per non parlare proprio di ostilità, che segnò la produzione finale del nostro concittadino. Ma tant’è… Ciò sembra di potersi leggere già in Cigno, uno dei più suggestivi passagli di Fisarmonica rossa.

Non cercarmi più
Dietro questa parete di vento e nebbia
Non chiamarmi forte
Colle tue labbra di sale e di memorie.
Guarda, come una pietra bianca
Io dormo fra i solchi bruni del mio cuore

E la zingara pioggia di autunno
Batte il cembalo azzurro sulle foglie.
Domani ritornerai
e mi troverai sulla collina
Colla mia fionda rossa
A colpire il crepuscolo
in un clamore d’allodole
Di là dalla dolce riva che ci separa
Riudrai cantare nel verde grano memore
Il cigno della nostra infanzia vissuta.

L’incanto, del resto, è esemplarmente espresso nel Congedo che chiude Poemetti, senza rinnegare niente della ispirazione universalistica che passa per i versi di Matacotta e niente dei suoi furenti ed appassionati ideali di uomo e di politico, chiamato a realizzarsi in un momento non facile, come fu quello della Liberazione e quello del primo tormentato dopoguerra.

Un gesto chiede il cielo, che nell’ombra
Delle cose mi chini e oda il quieto
Cuore del tempo, ch’è già sera, e dolce
Di cadenti cavalli l’aria imbruna
E mute foglie parlano parole.
Ma del mio pianto memore non torni
La luce del giorno e nuovi campi ed erbe
Porga al mio sguardo e chiare acque a questo
Disadorno silenzio, e un dì mi specchi
Docile e stanco nell’ultimo bagliore. •

a cura di Fabrizio Fabi

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