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Don Bosco: due secoli di attualità

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donboscoGiovanni Bosco nacque nel 1815, due secoli fa. Morì 73 anni dopo, nel 1888. La sua vita terrena si distende dunque per circa tre quarti del secolo XIX, segnato da rilevanti trasformazioni culturali, politiche, economiche, di costume, religiose. Dopo il Congresso di Vienna la società italiana ed europea subirono profonde e, per certi versi, radicali mutazioni.

Non solo la generazione di don Bosco assistette al processo di unificazione nazionale, al trasferimento della capitale a Roma con le lacerazioni che ne seguirono e all’affermazione del liberalismo politico, ma si trovò immersa nei cambiamenti che portarono in pochi decenni allo sviluppo delle strade ferrate e dell’industria, alla diffusione della scuola, alla circolazione delle idee attraverso la stampa popolare, ai progressi della medicina e della scienza, al consolidarsi del capitalismo ed al costituirsi delle prime consistenze di proletariato urbano. Erano fenomeni che si riflettevano con particolare intensità nell’ambito della sensibilità e mentalità religiosa. L’affermazione dell’idea liberale e del movimento nazionale, la nascita dei movimenti socialisti e delle loro prime forme organizzate ponevano la Chiesa e la coscienza dei cristiani di fronte ad un mondo che, in Italia ed in Europa, non aveva precedenti.

Se la Riforma aveva segnato la fine dell’unità cristiana medievale e l’Illuminismo aveva fatto affiorare radicali critiche alla stessa fede religiosa, la moderna società industriale si presentava pervasa di spirito laico, convinta di poter prescindere dalla nozione stessa di Dio e di trascendente. Tali mutamenti erano ben tangibili a Torino, dove don Bosco aveva personalmente sperimentato l’entità e la forza dei cambiamenti; aveva misurato i rischi della scristianizzazione nonostante il persistente riconoscimento della forza morale del Cristianesimo e soprattutto aveva verificato che l’anello debole della struttura sociale di quegli anni era la gioventù, come sempre del resto accade quando si attraversano periodi di transizione. I giovani apparivano, alla prova dei fatti, i più esposti e indifesi nel momento in cui tramontavano tradizionali consuetudini di vita e ne emergevano altre, specie in conseguenza dei processi di immigrazione dalla campagna verso la città. Ed è verso i giovani che Don Bosco realizza la sua missione religiosa, evangelizzatrice, pastorale rivolta primariamente alla “salvezza delle anime”.

Egli privilegia la catechesi, la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti, le pratiche di pietà. Ma di fronte ai giovani concreti di cui si occupa, il suo cuore di prete reagisce immediatamente anche con pienezza di sensibilità umana ai bisogni dei ragazzi, incominciando da quelli più elementari: vitto, vestito, ricovero, lavoro, gioco. Inevitabilmente la “cura d’anime” diventa inscindibilmente azione benefica, sociale, educativa. Senza elaborate teorizzazioni don Bosco percepisce e attua quasi d’istinto nell’unità degli interventi concreti la pluralità degli aspetti: religioso, materiale, formativo perché, scrive, “un gran numero trovasi ad imminente pericolo di perdere onestà e religione per un tozzo di pane”. E ancora scrive don Bosco: “L’opera dell’Oratorio tende a scemare il numero de’ piccoli malfattori e ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidii alle pubbliche Autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l’ordine, la tranquillità e la pace”. Don Bosco dunque si lascia coinvolgere da taluni aspetti problematici della condizione giovanile. E la pedagogia che l’accompagna, che è nativa disponibilità interiore, viene emergendo gradualmente dall’esperienza vissuta dell’Oratorio. L’idea dell’Oratorio nasce in don Bosco dalla frequenza delle carceri di Torino.

“In questi luoghi – scrive – di miseria spirituale e temporale trovavansi molti giovanetti sull’età fiorente, d’ingegno svegliato, di cuore buono, capaci di formare la consolazione delle famiglie e l’onore della patria; e pure erano colà rinchiusi, avviliti, fatti l’obbrobrio della società”. In connessione con la prassi nelle diverse opere pastorali del sacerdote torinese, si elaborano e si definiscono le esperienze e i concetti fondamentali del «sistema educativo». Prima di tutto l’idea della «prevenzione», che include indubbi elementi di protezione talora preoccupata e ansiosa, ma accoglie insieme istanze di promozione delle potenzialità interiori del giovane, avviato ad autonoma responsabilità personale: studio, lavoro, «libertà» regolata, gioia, « civiltà ». Il sistema preventivo che tanto aveva a cuore don Bosco è sintesi di ragione e religione, in un intenso clima di premura: carità, amore, «amorevolezza ».

Tra gli altri elementi compaiono abitualmente nella realtà preventiva termini di forte carica evocativa: peccato e grazia, perdizione e salvezza, sacramenti e «pietà», meditazione dei «novissimi »; inoltre, adempimento del proprio dovere, obbedienza, «purità », «fuga» (compagnie, libri, occasioni, illustrazioni); e perciò, a sussidio educativo, assistenza, paternità, famiglia, famigliarità, amicizia; ed ancora, gioco (il «cortile »), allegria, festa, «libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento», ginnastica, musica, canto, declamazione, teatro, escursioni. In sostanza, un chiaro tentativo di coniugare terra e cielo, temporale ed eterno, umano e divino; una sintesi, tendenziale, che troverà espressione compiuta nel principio enunciato nelle pagine sul sistema preventivo del 1877, e che sembra doversi intendere in senso contenutistico oltre che metodologico: «questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l’amorevolezza »; trinomio che viene integrato dal più frequente riferimento ai concetti «laici» di civiltà, umanità, progresso e ai binomi «evangelizzazione e civilizzazione», «religione e civiltà», «bene dell’umanità e della religione». •

About Tamara C.

Direttore de La Voce delle Marche

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