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Il Darwin del sec. XXI. Muovere verso…

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theillardIl prof. Ludovico Galleni, docente emerito di zoologia presso l’Università di Pisa, è considerato uno degli studiosi più accreditati dell’opera scientifica di Teilhard. Egli è, inoltre, un fine interprete dell’opera teologicofilosofica del gesuita francese. Per questo La Voce delle Marche si è rivolta a lui per avere un suo autorevole parere sul significato e l’attualità del pensiero di Teilhard.

Come e quando è avvenuto il tuo incontro con l’opera di Teilhard?
Il mio incontro con Teilhard è avvenuto quando lavoravo in Inghilterra presso il laboratorio di Biologia marina di Plymouth- Mi ero già avventurato in una prima lettura del Fenomeno umano fatta in Fuci negli anni sessanta, ma avevo trovato il testo molto confuso e inaccettabile da chi cominciava allora una carriera dedicata alla ricerca scientifica. Ero rimasto invece affascinato dai filosofi del personalismo: Maritain e Mounier. Però quando vincitore di una borsa di studio sono andato a lavorare in biologia marina a Plymouth, l’ambiente culturale inglese era abbastanza refrattario al personalismo francese, e aveva più considerazione per i libri di Teilhard. Ho trovato Man’s place in nature (Il posto dell’uomo nella natura) che soddisfaceva molto bene le mie necessità di scienziato che si apprestava a studiare temi importanti dell’evoluzione quali la speciazione. Da lì è nato un nuovo interesse per Teilhard che è partito proprio dall’indagine dell’opera scientifica e dalla lettura de Il posto dell’Uomo nella natura nell’edizione insuperata e ancora punto di riferimento fondamentale curata da Ferdinando Ormea. Il mio punto di partenza è stata l’opera scientifica di Teilhard de Chardin, che, da scienziato, ero in grado di leggere.

Tu definisci Teilhard “il Darwin del XXI secolo”? Perché?
Dall’opera scientifica ho cercato di rilevare i contributi fondamentali di Teilhard alle moderne teorie evolutive. Teilhard è un precursore della biologia come scienza dell’infinitamente complesso. Inoltre, sottolinea come per comprendere i meccanismi di fondo dell’ evoluzione essa vada studiata su tempi lunghi e spazi ampi, quindi a livello continentale, per giungere poi a cercare di comprendere le leggi generali dell’evoluzione della Biosfera. Questo è il punto chiave della mia proposta. Come Darwin viene riscoperto nel ventesimo secolo, quando la revisione delle teorie evolutive viene organizzata attorno alla sintesi moderna, cioè attorno alle leggi di Mendel, alla selezione naturale di Darwin e Wallace, e alla teoria cromosomica di Morgan, così la sfida del ventunesimo secolo sarà studiare l’evoluzione a livello di leggi generali della Biosfera. Questa è esattamente la pista indicata da Teilhard de Chardin. Oggi, molti, sulla scia di Gould, pensano il rapporto tra fede e ricerca
scientifica come “non overlapping magisteria”.

Perché questa posizione non ti convince?
Di fatto, anche senza volerlo, i magisteri si sovrappongono, perché, come afferma Teilhard, scienza filosofia e teologia convergono nelle vicinanze del tutto, e questa
convergenza va saputa maneggiare. Non è un caso che nascano continuamente nuove riviste sui rapporti tra scienza, filosofia, teologia. Vi sono fondazioni che finanziano progetti di ricerca. Si istituiscono cattedre in tutto il mondo, tranne che in Italia.
Di fatto anche Gould quando eleva il caso a strumento di interpretazione metafisica dell’universo sovrappone i magisteri. Però, non conoscendo le tecniche per
la sovrapposizione e il confronto, tecniche che richiedono anni di ricerca e di studio faticoso, fa una grande confusione. Non ci si improvvisa esperti di una disciplina
di cui addirittura si codifica la non esistenza.
Perché ritieni attuale il modo in cui Teilhard concepisce il rapporto tra fede cristiana e pratica scientifica?
Perché mi pare sia un metodo che precorre il Concilio. La Gaudium et Spes afferma che tra i vari doni che il mondo dà alla chiesa uno è proprio quello della ricerca scientifica, quando la ricerca scientifica risponde al proprio metodo. Questo è fondamentale. La scienza non deve rispondere alle necessità della teologia, ma al proprio
metodo. E allora anche le scoperte scientifiche servono ad aprire nuove vie verso la verità, una verità che non ci è data una volta per tutte ma va faticosamente ricercata.
Per Teilhard, come per me del resto, è l’evoluzione la grande novità della scienza contemporanea. Una evoluzione quindi non più da combattere ma da recepire nella
sua valenza filosofica e teologica.

Se Teilhard vivesse oggi sarebbe un ecologista o un transumanista? Sarebbe favorevole alla salvaguardia dell’equilibrio della biosfera (Lovelock) o all’espansione del cybogrg (Bostrom)?
Da questo punto di vista Teilhard è estremamente chiaro: l’umanità deve muovere verso il futuro, ma con il rispetto delle leggi dell’evoluzione. Queste leggi oggi ci
parlano di stabilità della Biosfera come primo valore da conservare. La stabilità della Biosfera passa dall’ecologia. Io quindi penso che sarebbe più un ecologo, serio
ovviamente. Per spiegarmi meglio, non un ecologo che dice di no a tutto per principio ignorando che la salvaguardia della Biosfera richiede ormai interventi anche
tecnologicamente raffinati, ma un ecologo che usa anche la tecnologia per la stabilità della Biosfera. Non sarebbe quindi un cultore della rete o della ciberinformatica. Non si costruisce la Terra chattando al computer ma sviluppando i rapporti interpersonali e sviluppando la persona nella comunità.
E qui si torna al mio primo amore: il personalismo. Teilhard, nel 1945, parla della necessità di andare oltre il “sentire cum ecclesia” per pervenire al “praesentire
cum ecclesia”, alla necessità, cioè, di pensare i futuri assetti del cristianesimo in un mondo in profonda trasformazione.

Dove si manifesta maggiormente, a tuo avviso, l’attualità dell’insegnamento teologico e spirituale di Teilhard?
Il punto fondamentale è quello di una teologia che non deve ripetere formule vecchie, ma aprirsi al nuovo e suggerire al popolo di Dio in cammino piste di indagine e di ricerca. Praesentire cum ecclesia vuol dire accettare fino in fondo la sfida del futuro. Lo si vede bene con il progetto che deriva dall’evoluzione: non guardare più ad un passato ormai chiaramente mitico e quindi mai esistito ma aprirsi al futuro. Ciò che conta è muovere verso la Terra da costruire per la seconda venuta di Cristo col coraggio di abbandonare vecchie formule che non reggono più e aprire piste nuove. Tutto questo in obbedienza al Concilio Vaticano Secondo, che ci chiede appunto di usare anche le conquiste della scienza per aprire nuove vie verso la verità e per comprendere appieno la natura stessa dell’Uomo. Un uomo che nasce da un lungo
cammino evolutivo e che protetta questo cammino verso il futuro. •

G.Filippo Giustozzi

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