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Not(t)e prima degli esami

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numero 12La fine della quinta elementare era stata una sorta di passerella d’onore con cui la mamma-maestra aveva sfoggiato davanti alle colleghe-commissarie i suoi gioielli alle prese con il remake delle migliori performances annuali: solo un leggero brivido d’ansia per la parola “esame” ben presto svaporato tra i sorrisi, le caramelline a fine compito e la meritata gloria al termine di 5 anni di marcia trionfale da solitario e indiscusso primo della classe.

Il ricordo di quei giorni mi avrebbe cullato e consolato in quelle scure giornate della prima media quando amaramente scoprii che potevano esistere addirittura studenti più bravi di me e feci esperienza di un fenomeno che anni dopo sarebbe stato chiamato addirittura “bullismo”… tempi duri che solo lo sconquasso portato dalla pubertà poteva rendere peggiori.

Solo in terza inziai a vedere la luce in fondo al tunnel e quella luce fu ancora agli esami: OTTIMO c’era scritto sul tabellone! Certo, rispetto a 3 anni prima, fu una gloria più personale e familiare, tra pari e con le ragazze. I “sufficiente” erano di gran lunga più gettonati ma, adesso, mi sentivo all’altezza di affrontare quel liceo di cui non mi reputavo capace e che i miei (per fortuna) mi avevano imposto. Avanti allora!

Già dai primi giorni capitava che il pensiero, spinto dalle chiacchiere dei grandi in autobus o da qualche poco velata minaccia di un prof, si proiettasse nel futuro, ma un futuro indeterminato e vago che pensavi non si sarebbe mai avverato ma sarebbe rimasto tale per sempre: la “maturità”. E invece si materializzò e come. In mezzo ci passò di tutto: amicizie nate e amicizie finite, primi amori e anche secondi, belle serate, giornate vuote, pomeriggi di studio ma anche di svacco, partite a pallone, felicità e qualche tragedia, più tante cose che non si possono mica dire.

Ma nella primavera del 1995, finita la gita a Vienna, tutto questo sembrava un film scorso con il tasto fast forward del videoregistratore e riassunto in un frullato di ricordi da mettere in fresco e bere durante l’estate, perchè adesso il tempo continuava a scorrere maledettamente veloce ed era iniziato il conto alla rovescia verso l’epico evento che avrebbe detto la prima parola definitiva sulle nostre giovani vite: l’Esame di Stato.

Vent’anni di distanza hanno trasfigurato quei tempi. L’ansia collettiva ci univa e fortificava nel terrore di prove che nemmeno i Maya scrutando il cielo avrebbero potuto prevedere o di perfidi commissari provenienti da chissà quale scuola del regno, ma erano luminosi giorni d’estate in cui una banda di giovani si apprestava a diventare uomini, come antichi guerrieri che stavano per affrontare un periglioso rito di passaggio. Eppure ricordo bene che mia madre volle portarmi dal medico che mi prescrivesse un ricostituente per affrontare al meglio quei giorni: il dottore ebbe l’occhio lungo di prescrivere a lei della valeriana… E poi anche questa volta l’obiettivo “voto massimo” fu raggiunto.

Non ne fui mai soddisfatto, avevo svolto ogni prova al di sotto di quello che avevo sempre fatto in passato e sono certo che avevo ottenuto tanto solo grazie alla caparbietà di un prof che credeva, anche troppo forse, in me. Era il mio prof di Lettere. Lo ricambiai subito iscrivendomi a Ingegneria Meccanica. Credo ci rimase un po’ male. Ma mi bastò poco per tornare sui miei passi ed oggi sono un suo collega. Comunque dopo di allora la parola esame non ha più avuto lo stesso valore, durante l’università gli esami sono diventati come verifiche e interrogazioni, a limite un po’ di pena il giorno prima…

Un po’ di emozione invece è tornata vivendo gli esami dall’altra parte della cattedra, spesso forse sono più emozionato io che alcuni ragazzi che ho davanti, qualcun’altro poi lo prende sul serio, qualche ragazzina collassa prima di entrare agli orali: ormai comincio ad avere un buon repertorio da ricordare. Che poi ci si perde del tempo a dire loro che gli esami veri la vita te li fa dopo e che quelli della scuola li ripenseranno con nostalgia ma sono davvero queste prove che a 14 o a 19 anni ti preparano le ossa per dopo.

Non ci crede quasi nessuno, quanti luoghi comuni! Ma li diranno anche loro verso i 40 quando ripenseranno quei tempi con un vecchio compagno, li racconteranno a un figlio o magari scriveranno un articolo per La Voce delle Marche. •

Luca Torretti

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