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Un ritiro particolare: bellezza e ri-scoperta

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seminaristi-romaI giorni del ritiro spirituale vissuto a Roma sono stati accompagnati da due parole che hanno risuonato spesso dentro me: bellezza e scoperta.
Scoperta come anche ri-scoperta, delle parole che spesso diciamo con poca attenzione o non diciamo affatto, come un “semplice” grazie. Ri-scoperta come respiro nuovo nella routine che ogni giorno ci può affaticare, far sembrare tutto statico e che invece visto da una nuova prospettiva diventa qualcosa di meraviglioso in tutte
le azioni che compiamo perché ogni cosa fatta a maggior gloria di Dio e per aiutare, sostenere ed edificare il fratello è unica, pur nel suo compiersi e ricompiersi
ancora. Quanti sospiri di stanchezza diventano allora nuovi respiri di aria pura e nuova. Così come parlando con due dirigenti del Coni, mi ha profondamente colpito il fatto che i grandi atleti plurimedagliati nel mondo, dietro le loro grandi vittorie, hanno grandi e numerose sconfitte. Mi sono chiesto come fosse possibile, i “grandi”
sono invincibili mi sono detto. Eppure sono uomini come me e te, e la fatica di soccombere alle sconfitte più e più volte non li ha però evitato di diventare i migliori.
Il prezzo della gloria del podio al prezzo altissimo di batoste su batoste. Quello che ho pensato allora è stato: ma perché non si può celebrare allora il fallimento
come evento di passaggio verso il diventare “Grandi”? La cultura in cui viviamo è la celebrazione assoluta della perfezione. O se fuori o sei dentro. E se sbagli sei fuori.
La selezione dei migliori prima di tutto. E ciò sarebbe scritto dove? Ecco allora quanto sarebbe stupendo fare una festa ogni volta che si sbaglia, per ricordarci che
andiamo bene così, per accettarci con i nostri limiti e fallimenti, per vedere bellezza lì dove troviamo la sconfitta. Di riflesso quanto dovrebbe essere importante allora aprirsi alle persone che stanno dietro qualsiasi fallimento. Nel volto meraviglioso delle vie di una Roma magicamente sempre eterna, dove si respira storia e dove si vede il mondo che si incontra e ti passa accanto, anche un’altra cosa mi ha colpito, anzi turbato. La ferita aperta di tantissimi senzatetto che di notte abitano via della Conciliazione e gli angoli adiacenti. Certo finire per strada non è proprio una vittoria, anzi. Chissà quali storie dietro quei volti vicino ai quali con troppa indifferenza
sono passato, ogni volta dicendo “Signore mio!”. Già, perché sia o meno una scelta di vita, una condizione forzata o qualsiasi altra cosa, sotto quei cartoni, al freddo
delle notti romane, Madre Teresa direbbe che c’è proprio «Cristo, il mio Signore». Le parole passano ma le immagini restano impresse. Qualcuno dice che ogni volta che si inizia un viaggio breve o lungo che sia si apre una fase nuova per la tua storia. Di sicuro i molti “Cristo” che ho visto mi rimarranno impressi più di tutte le cose
viste e sentite. Tra mille domande che mi sono venute in mente sul cosa io potessi fare per loro non ho saputo darmi nemmeno una risposta. Ciò non significa agitare la coscienza alcuni minuti e poi rimuovere il tutto e andare avanti ma riflettere, portare nel cuore e insieme ai miei fallimenti da mettere sulla croce di Cristo alla fine di questa Quaresima, metterci anche questa ferita di questi fratelli. Chi non ha niente spesso non ha nemmeno niente da perdere, nemmeno la vita stessa che è il regalo più grande che Dio ci ha fatto. Sarebbe bello se insieme a me anche voi in questa Pasqua potreste ricordarvi di loro e chiedere al Signore della Vita di soffiare uno Spirito di coraggio e di forza nuovo dentro loro. Perché come noi anche loro e il loro silenzio valgono. Anzi valgono di sicuro più di noi che abbiamo tutto e siamo figli della cultura della lamentela perenne urlata perché gli altri devono accorgersi che esistiamo. •

Leonardo Bottalico

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