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Sulla Cattedra di Facebook

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Una dichiarazione fatta pubblicamente su Facebook non ha valore ufficiale e il giornalista che la pubblica sulla carta stampata non rende un valido servizio all’informazione.
Sono queste le due principali deduzioni che si possono ricavare a partire dalle esposizioni sui social network di consiglieri o esponenti politici locali, i quali, sedotti dalla tentazione dell’immediata esternazione polemica contro avversari o personaggi portati alla ribalta dalle cronache nazionali, si sono espressi in modo violento: «lapidiamola!», «castriamolo!». Immediato il coro, legittimo, delle condanne e il biasimo patito per opera dell’intera comunità, con il conseguente pentimento o chiarimento dell’emittente del messaggio, che, talora, è costretto a rassegnare le dimissioni o viene direttamente espulso dal suo partito.
Si deve iniziare col dire che è sempre valido l’asserto: «dammi il contesto e ti dirò il significato». Il contesto di facebook non è quello di una sala consiliare, di un dibattito pubblico, di un’intervista o di un manifesto. In queste situazioni la mediazione del gruppo di appartenenza, l’incontro con gli altri, il confronto delle idee filtra e purifica un certo uso del linguaggio e implica un pensiero precedente la parola. Quando un onorevole parla alla Camera dei Deputati, ad esempio, tiene, o dovrebbe tenere, conto di una linea di pensiero del suo partito, viene aiutato dalle varie segreterie e si assume la responsabilità di una parola che viene messa a verbale e che segna un avanzamento del processo decisionale dell’intera nazione. Non è possibile che la stessa persona, allo stesso tempo e nello stesso luogo, possa veicolare le sue opinioni della stessa natura politica su circuiti immediati del web solo per raggiungere il più in fretta possibile un maggior numero di elettori possibile. In quel momento sta dando a tutti l’impressione di perdere tempo e di non riflettere sulla reale pesantezza delle sue parole e delle sue opinioni per le quali è stato scelto e viene pagato profumatamente.
Anche in campo ecclesiale l’uso dei social dovrebbe tener conto di quanto sia stato importante il criterio ex-cathedra nell’uso di un certo linguaggio. La parola pronunciata dalla cattedra ha un valore più alto e più definitivo di quella ex-facebook. Eppure su quest’ultimo versante molti porgono orecchio e volgono occhio per arrivare prima nel processo della comunicazione, senza considerare che la troppa fretta falsa per forza il rapporto tra mittente e destinatario, porta a dire cose che uno non pensa veramente e a parlare in modo assolutamente ridicolo, talora tradendo un uso dell’italiano davvero imbarazzante. Parole che escono da facebook non dovrebbero, quindi, avere diritto di cittadinanza nella vita politica e decisionale, lì dove è più necessario, insomma, l’ex-cathedra o dove serve tempo per scrivere bene e per comunicare in modo adeguato. Gestire in proprio un programma o un network comunicativo non fa i conti con la rilettura da parte degli altri e con una valutazione redazionale d’insieme di quanto si vorrebbe dire. I destinatari dovrebbero essere i primi a dire che questa cosa è stata detta su fb e quindi ha un valore sicuramente più scarso di quella pronunciata all’interno di un dibattito pubblico.
Anche la storia della spiritualità cristiana potrebbe correre seri pericoli, se si dovesse pensare che il pulpito di facebook attiri più di quello di una chiesa, di una sala parrocchiale, di un confessionale o di un qualsiasi altro centro di ascolto e di incontro. L’anno della misericordia ci preservi da questo pericolo.

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