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La difficile via dell’educare

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Educare fa rima con pregare. «La via dell’educare dipende da quanto preghiamo, dal tempo che passiamo davanti al Signore: è Dio infatti che converte me e, attraverso di me, l’altro percepirà lo sguardo trasformante per cui le cose appaiono belle e buone». Forte lo stimolo del professor Alessandro D’Avenia intervenuto al convegno ecclesiale di Firenze 2015.

Nei vari gruppi che hanno articolato la via dell’educare, ciò che fermamente è emerso e che mi sembra un importante punto di partenza, è che non è mai venuta meno la passione educativa della Chiesa, non solo nei confronti delle nuove generazioni, ma anche e soprattutto nei confronti degli adulti, degli educatori, degli animatori, dei catechisti, degli animatori pastorali, dei presbiteri stessi, così come l’educazione alla genitorialità ecc ecc. La comunità cristiana punta sull’educazione integrale della persona e sulla credibilità dell’educatore che si pone innanzitutto come testimone, come chi è stato lui per primo educato da Cristo e ha trovato in Lui il senso della sua vita. La comunità cristiana si pone quindi come obiettivo di educare all’unità della persona e della famiglia umana, la comunità. L’educazione è una questione decisiva che riguarda tutti e non solo coloro che ne sono direttamente interessati. Da qui la necessità di promuovere e rafforzare le forme di alleanza educativa e di implementare nuove sinergie tra i diversi soggetti che interagiscono nell’educazione non solo all’interno della stessa comunità ma anche tra comunità diverse (creazione di forum), creando “tavoli di pensiero e di azione”, dove confrontarsi, formarsi, scambiarsi esperienze, cercare nuovi stimoli, tentare nuovi linguaggi da inserire sì negli ambienti digitali che oggi dominano le nostre comunicazioni, ma anche nella cultura e nella bellezza che bene si coniugano con la nostra fede.

È importante per una comunità l’educazione sociopolitica, l’educazione alla cittadinanza attiva e alla legalità. “I cristiani sono cittadini”, ricorda il Papa.

Si è posto l’accento sull’importanza di ripensare e creare dei nuovi percorsi formativi centralizzati sull’aspetto pastorale e pedagogico, percorsi che prevedano anche dei momenti comuni di scambio tra presbiteri, famiglie, laici e consacrati. L’obiettivo è quello di supportare e sostenere e accompagnare le fragilità di chiunque si impegni in questa magica sfida che è l’educazione, non lasciando nessun tema, nessun aspetto in sospeso.
Non meno importante è risultata essere la formazione sociopolitica, l’educazione alla cittadinanza attiva e alla legalità, perché come ci ha ricordato il Papa i cristiani sono cittadini.
“L’educazione è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo”, regalandoci una gioia incomparabile. Dunque, «Educhiamo se siamo educati, ma diamo il tempo all’eternità di educarci? Altrimenti rischiamo di portare il soffio corto delle nostra esperienza e delle nostre ferite. Il segreto invece è rivolgere lo sguardo all’infinito, senza scoraggiarsi di fronte alle difficoltà e alle inevitabili paure. Siamo inadeguati e per questo abbiamo bisogno dell’infinito, che è Dio, che si serve di questa nostra inadeguatezza per arrivare ad altri che si sentono inadeguati e che in questo modo si sentiranno un po’ meno inadeguati. Bisogna dire basta a quel gioco al massacro che cerca di individuare di chi è la colpa. Ciò che serve in realtà, è il senso di responsabilità che significa dare risposte soprattutto ai ragazzi, ai giovani, che chiedono un motivo per cui valga la pena morire, non vivere, perché solo così possono giocarsi la vita». •

Noemi Paolucci

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