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Cyberspazio: il luogo seducente della solitudine confortevole

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La Voce delle Marche, il periodico cattolico fermano sbarcato in internet proprio in queste settimane, ha insistito sul tema della rete, del web, della navigazione degli internauti.
Giorni fa il sociologo Zygmunt Bauman ha detto cose molto interessanti rilasciando un’intervista all’Espresso. “Internet rende possibili cose che prima erano impossibili. Potenzialmente, dà a tutti un comodo accesso a una sterminata quantità di informazioni: oggi abbiamo il mondo a portata di un dito. In più la Rete permette a chiunque di pubblicare un suo pensiero senza chiedere il permesso a nessuno: ciascuno è editore di se stesso, una cosa impensabile fino a pochi anni fa. Ma tutto questo – la facilità, la rapidità, la disintermediazione – porta con sé anche dei problemi. Ad esempio, quando lei esce di casa e si trova per strada, in un bar o su un autobus, interagisce volente o nolente con le persone più diverse, quelle che le piacciono e quelle che non le piacciono, quelle che la pensano come lei e quelle che la pensano in modo diverso: non può evitare il contatto e la contaminazione, è esposto alla necessità di affrontare la complessità del mondo. La complessità spesso non è un’esperienza piacevole e costringe a uno sforzo”. E l’incontro: l’altro che mi guarda e che io guardo, qualunque esso sia, matura perché, scomoda, costringe a chiedersene le ragioni.
Papa Francesco è arrivato a dire che la verità è un incontro.
Al contrario, internet permette, sostiene sempre lo studioso della società liquida, di non vedere e non incontrare chiunque sia diverso da te. Ecco perché la Rete è allo stesso tempo una medicina contro la solitudine – ci si sente connessi con il mondo – e un luogo di ‘confortevole solitudine’, dove ciascuno è chiuso nel suo network da cui può escludere chi è diverso ed eliminare tutto ciò che è meno piacevole”. Accanto a questa “confortevole solitudine”, c’è un altro aspetto che Bauman mette in rilievo pensando alle manifestazioni di piazza, alle primavere arabe mai diventate estati. E che chiama il carnevale della solidarietà.
“Le persone si scambiano reazioni emotive sui social network e magari da lì si organizzano per andare in piazza a protestare. Gridano tutti gli stessi slogan, ma in realtà ciascuno ha interessi diversi e aspettative deluse diverse. Poi si torna a casa contenti della fratellanza con gli altri che si è creata in piazza, ma è una solidarietà falsa. Io – dice il sociologo – la chiamo carnival solidarity perché mi ricorda appunto quegli eventi in cui per quattro o cinque giorni ci si mette la maschera, si canta e si balla insieme, fuoriuscendo per un tempo definito dall’ordine delle cose. Ecco, quelle proteste consentono l’esplosione collettiva di problemi diversi e istanze individuali per un arco di tempo breve, come a carnevale, ma la rabbia non si trasforma in un cambiamento condiviso».
Proprio questo universo liquido avrebbe bisogno di qualcosa di solido cui ancorarsi. Una roccia o una rupe, come quella che anelavano i popoli semitici abituati inizialmente ad essere nomadi e abitatori di deserti, eppure “particolarmente  sensibili  a quel punto di riferimento che era la grande formazione rocciosa stabile rispetto alla sabbia e alla polvere che il vento muoveva e disperdeva”.
Ma quali “rocce” emergono oggi capaci di attrarre? •

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