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CORRIDONIA: La fede dipinta e tramandata

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L’arte sacra è, prima e innanzi tutto, espressione della fede, che creduta e vissuta da una particolare comunità cristiana, trova posto nelle nostre chiese o nelle particolari raccolte strettamente ad esse correlate.

Ben misera e riduttiva è invece la presenza di opere di soggetto sacro, già nelle chiese, oggi nei musei “laici” del mondo: per lo più lì si va per ammirare e apprezzare valori estetici, caratteristiche storico-artistiche, o, al più, studiarne modi, forme e tecniche di esecuzione; il significato autentico resta per i più precluso, decontestualizzate come sono, spogliate di ogni relazione con la storia della fede e con la geografia religiosa. Niente aiuta ad individuarle e a collocarle. Restano assegnate a splendidi o brutti “depositi” ove, al massimo, è dato cogliere il senso cronologico e stilistico in una generale storia dell’ arte.
Né è d’aiuto una qualsiasi guida, se pur preparata e colta; il senso profondo ne sarebbe comunque escluso o incomprensibile, restando tagliati fuori genesi e finalità, contesto e vita storico-religiosa dell’opera.
Ben diverso è ammirare una Crocifissione o una Madonna col Bambino lì dove – pala d’altare o dipinto devozionale – sono nate e dove i fedeli di una comunità, per secoli, sono andati e vanno a pregare. Già, perché ogni dipinto sacro è sorto per essere destinato alla preghiera: preghiera, talora, esso stesso, perché lode per il mistero di salvezza che vi è espresso o in onore del santo che l’amore di Dio ha donato agli uomini; preghiera anche di ringraziamento per l’intervento provvidenziale tramite la Beata Vergine o i santi, in tutta quella serie di affreschi ex voto sparsi l ungo le pareti o sui pilastri e le colonne dell’edificio sacro, a perenne memoria. Preghiera, in altri casi suscitata e stimolata in chi vi si avvicina per contemplare. Quanto lontano dall’anodina parola didascalica di una guida che conducendovi in una certa qual chiesa, non offre altro che la ripetizione di un ritornello a schema fisso: ” … in questo primo altare di sinistra potete ammirare la … di … dipinta nel.. . Potete notare la grazia del gesto, la perfezione del disegno, il delicato accostamento dei colori…”. Avete mai provato a chiedervi, uscendo, che cosa avete colto di significativo in quell’opera? E quale ricchezza interiore avete ricevuto, oltre al piacere degli occhi e qualche emozione, per aver osservato de visu un capolavoro famoso? E, in opere meno note, neppure questo!
La necessità, dunque, di cogliere e tener conto degli aspetti più profondi ed intimi dell’arte sacra, da sempre percepiti e sostenuti in ambito ecclesiale, fortunatamente, se pur con lentezza, residuo di pregiudizi e sospetti, sta penetrando nelle pubbliche istituzioni (non purtroppo nelle direzioni dei musei) che nel passato erano orientate verso una facile e “opportuna” musealizzazione, magari disseminando opere di arte sacra tra i dipinti di tutt’altro spirito e soggetto.
Si pensava che solo in tal modo le opere di arte sacra potessero essere tutelate e valorizzate. Oggi la tutela è possibile anche nelle chiese o in ambienti religiosi correlati e la valorizzazione ci guadagna mantenendone le caratteristiche del contesto e l’atmosfera che ne giustifica la presenza. Certo, tutela e valorizzazione, bisogna riconoscerlo, in alcuni casi sono difficili: chiese poco custodite o poste in luoghi troppo isolati; altre sconsacrate o demolite; altre ancora, chiuse e non sempre fruibili per mancanza di un custode…
Solo in questi casi si può pensare ad una vera e propria musealizzazione. Tuttavia, perché si perda il meno possibile del contesto e si offrano modalità di fruizione piena e significativa della realtà storico-religiosa che contraddistingue le opere, occorre che intervengano condizioni ben precise: vicinanza o adiacenza ad una chiesa che ne evidenzi e richiami la loro natura sacrale; la ricostruzione nell’ambito museale di un percorso che ne faccia emergere storia e caratteri della comunità di fede che le ha volute; capacità di chi accoglie e guida nel proporre e sviluppare le tematiche intrinseche di cui tali opere sono testimonianza ed espressione.
In questo quadro si colloca la pinacoteca parrocchiale di Corridonia che, se pur quantitativamente non ampia, è però di gran pregio e valore. Vi si scoprono la storia di tutta una comunità, il ruolo che l’arte sacra ha avuto e ciò che essa rappresenta come “evangelizzazione della fede” e “inculturazione della fede”.
Costituisce anche il risultato di una secolare gelosia per quanto di vero e di bello la fede, tramite committenze religiose e laica lì ha espresso nelle varie epoche, dal tardo medioevo all’epoca post tridentina. Sfilano sotto gli occhi di chi le contempla, la figura della Beata Vergine universalmente venerata, i santi patroni di quella terra, quelli venerati dalle confraternite, gli intercessori a cui ricorrere in particolari calamità, i fondatori degli ordini religiosi e dei terzi ordini secolari: tutti raccontano vicende paesane, eventi grandi e piccoli, storie di fede e di devozione.
Sono le opere sparse un tempo nelle varie chiese, talune delle quali demolite, altre o chiuse o in precario stato di conservazione, disseminate nei diversi nuclei urbani e nel contado che oggi costituiscono il comune di Corridonia, ad offrirei motivo e ragione della raccolta.
La pinacoteca diventa in tal modo, non solo la sintesi di una storia, ma anche e soprattutto il polo di convergenza verso cui tutta la comunità locale si è orientata nelle vicissitudini di secoli: la parrocchia dei SS. Pietro, Paolo e Donato. La sua chiesa, che oggi raccoglie l’eredità storica delle altre parrocchie, ha a fianco la pinacoteca: un continuum dunque in cui liturgia e catechesi sono prima celebrate e proposte e quindi riscoperte e riconsegnate attraverso le opere che trasmettono la memoria storica.
Perché questo profondo significato non andasse vanificato né affidato unicamente, con una se pur attenta visita, alla trasmissione orale di chi accoglie e illustra, occorreva uno strumento più solido e permanente. Da ciò la ragion d’essere un catalogo in cui riemerge la storia della comunità, il contesto religioso ed anche civile delle opere e soprattutto offre una decodificazione iconografica, cioè un’attenta lettura delle immagini, volta a cogliere linguaggi, significati e messaggi.
Pinacoteca e catalogo, visione e lettura, dunque, possono essere per tutti, uomini di fede e non, visitatori e studiosi, un punto di riferimento per alcune alte espressioni dell’arte sacra di questa terra della Marca nella Arcidiocesi di Fermo. Vogliono essere inoltre un modello, sia pur piccolo ma importante, del come l’arte sacra va vista, letta, ripensata, assimilata. •

Germano Liberati

LA SEDE E LE COLLEZIONI

La Pinacoteca è stata istituita nel 1952 per interessamento di monsignor Clario Pallotta che, per motivi di sicurezza, volle riunire in un’unica sala della canonica della chiesa dei Santi Pietro, Paolo e Donato alcuni dipinti provenienti dalle chiese del centro urbano. La piccola ma preziosissima raccolta comprende alcune parti di un polittico di Antonio (1415-1476) e Bartolomeo Vivarini (1432 ca. – 1499) raffiguranti San Paolo e San Giorgio, San Nicola di Bari e San Pietro, Santa Caterina e Santa Maria Maddalena provenienti dalla sacrestia della Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, un San Francesco quattrocentesco di un artista di scuola senese di proprietà del comune; una Madonna che allatta il Bambino, del 1372 di Andrea da Bologna, una Madonna col Bambino e Santi di Lorenzo d’Alessandro del 1481, proveniente dalla chiesa demolita di San Donato, una Madonna col Bambino, Angelo e Santi di Cristoforo Roncalli (1522/1626), una Madonna col Bambino, San Pietro e San Francesco datata 1517 di Vincenzo Pagani, di proprietà comunale; un San Pietro di autore anonimo del XVII secolo e infine la splendida Madonna col Bambino di Carlo Crivelli (1430/1500 c.) proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino. •

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